Città
di Peschiera Borromeo
(Provincia di Milano)
Assessorato all'Istruzione e Cultura
Storia e
arte, castello e mulini, maestà o cappellette, reperti, struttura,
tradizioni, materiale etnografico… tutto costituisce, nella sua concretezza,
l'insieme delle matrici antiche del territorio.
Oggi i mulini, al Castello Borromeo, individuati, rivisitati e studiati
ci parlano del tempo passato, delle caratteristiche della zona e del mondo
del lavoro, della spiritualità del periodo…
Realtà e magia, esigenze trascorse e individuazione di percorsi
operativi che la ricerca storica, sollecitata dalla nostra Amministrazione
e sorretta dalla competenza del Professor Leondi, hanno fatto affiorare.
L'Assessore
all'Istruzione e Cultura
Tosca Bertolini
Si dirà: con tutte le emergenze che ci assillano, bisogna essere
dei buontemponi per occuparsi di mulini. Sarà... Resta il fatto
che è proprio un certo modo alienante di vivere, di vedere e considerare
le cose, che ha generato quel senso di indifferenza verso ciò che
ci circonda: riappropriarci anche dell'ambiente esterno, conoscere il
processo storico attraverso cui una certa zona è diventata quel
che è, ce la fa apprezzare ancor di più. In senso lato ci
fa meglio gustare la vita e il mondo intero, che per noi naturalmente
comincia da... Peschiera Borromeo!
Proponiamo il tema dei mulini a chi ama i nostri paesi: un ruolo strategico
l'hanno giocato, per secoli. Essi rappresentano una tessera importante
del grande e variegato mosaico della storia locale: affiancando una tessera
all'altra, il quadro man mano si affina e completa, ci offre una visione
più precisa ed esauriente.
Parliamo di mulini, perché coi loro robusti ingranaggi segnano
un termine di svolta che non ha paragoni, nella storia del progresso scientifico-tecnologico;
la loro presenza sta ad indicare un livello di conoscenze teoriche e pratiche,
di abilità specialistiche, presuppone capacità imprenditoriali,
tutti elementi indispensabili per nuovi successivi sviluppi in campo industriale.
Trattiamo di mulini, infine, prima che sia troppo tardi; essi purtroppo
stanno rapidamente scomparendo, per l'insipienza di proprietari e legislatori,
che poco o nulla fanno per tramandare alle future generazioni un siffatto
patrimonio di cultura materiale e di cultura tout court: riuscirà,
la nostra modesta fatica, a richiamare l'attenzione di qualcuno?
ELOGIO DELL'ACQUA
Di acqua ne è corsa tanta, giù per i fossi, le rogge, i
canali che da epoche immemorabili disegnano su questo territorio una ragnatela
fittissima, utile, benefica.
Fino a ieri chiara e limpida, anche buona da bere, oggi assai meno, essa
continua a fluire ora placida e sonnolenta, tal'altra, ma più raramente,
impetuosa e travolgente. Giunge da lontano, da Alpi e Prealpi, grazie
a due fiumi che hanno portata costante in ogni stagione dell'anno: il
Lambro e l'Adda.
Per strada, entrambi alimentano innumerevoli alvei artificiali: famosissimi
gli abduani Naviglio Martesana, Muzza e Addetta. Pure i fontanili, fenomeno
tipico della Padania, dopo aver fecondato marcite e prati concorrono ad
impinguare questo fantastico reticolo idrico.
Non c'è alcun dubbio: l'acqua ha fatto la ricchezza della Bassa;
nell'agricoltura innanzitutto, eppoi... ai primordi dell'industria. Poco
o per niente costosa, ecologica, riutilizzabile pressoché all'infinito,
adattabile a mille usi. Cantava a ragion veduta il poverello di Assisi:
"Laudato sii, mi' signore, per sor'Aqua, la quale è molto
utile et humile et pretiosa et casta...".
LA PRIMA "MACCHINA"
Viaggia sempre nella medesima direzione, dal monte al mare, l'acqua. Pensa
e ripensa, a qualcuno, avanti l'era cristiana, in luogo imprecisato brillò
in capo la bella idea di sfruttarne la forza per far girare le pesanti
mole dei mulini per cereali, mosse fino a quel momento con gran fatica
dall'uomo o dagli animali: nasceva così la ruota idraulica.
Dato il valore straordinario che gli storici attribuiscono a tale ruota,
si sarebbe tentati di pensare ad un suo utilizzo, fin dall'inizio, per
scopi aristocratici; e invece essa molto umilmente si limita a produrre
... farina! Ciò può indurci a sorridere, a svalutarne l'importanza.
Per apprezzarla come merita, dobbiamo considerare almeno un paio di fatti:
che nei tempi addietro l'alimentazione si basava essenzialmente sul consumo
di pani focacce farinate e polentine, con l'aggiunta di poco altro; inoltre
che la macinazione manuale (con levigatoi, mortai, macinelli, macine a
clessidra del tipo pompeiano) durava un'eternità, ad opera di una
moltitudine di miserabili, schiavi e servi principalmente, abbruttiti
da un lavoro bestiale.
Gloria dunque a Vitruvio, ingegnere e architetto veronese al servizio
di Ottaviano Augusto, che verso il 25 a.C. concepisce o reinventa il moderno
mulino ad acqua, con ruota verticale a palette, albero di trasmissione,
incastro di due ruote dentate (lubecchio e lanterna, o pignone), secondo
asse, solidale alla macina girevole.
Svolta tecnologica rivoluzionaria, questo complesso di ingranaggi rimarrà
invariato per quasi due millenni; sul principio, ripetiamolo, servirà
solo per macinare cereali, ma successivamente troverà applicazione
nei più diversi settori produttivi. Le ruote idrauliche, specie
dal Medioevo in avanti, azioneranno frantoi, pestelli, folle, gualchiere
per carta e panni, magli e mantici dei fabbri, segherie per legname e
pietre dure, filatoi e telai meccanici, e così via.
A giudizio unanime degli studiosi, i mulini costituiscono una pietra miliare
nella storia dell'umanità. Liberando forze fino ad allora obbligate
al massacrante lavoro della macina (molti erano fanciulli, tra l'altro),
i mulini con ciò stesso hanno fatto compiere alla società
un balzo in avanti prodigioso, con ripercussioni positive ovunque: prescindendo
dall'aspetto etico della questione, pure fondamentale, ci riferiamo agli
ambiti religiosi, artistici o letterari (più momenti per la riflessione
teologica, la produzione di opere d'arte, di poesia, ecc.), oltre che
naturalmente, last but not least, a quelli più specificamente economici:
maggiori disponibilità di braccia per le bonifiche agrarie e più
in generale per le migliorie agrarie; nell'industria, come abbiamo testé
detto, utilizzo delle ruote ad acqua e degli ingranaggi del mulino per
un'infinità di scopi.
E' verso il IX secolo che si assiste all'affermazione dei mulini idraulici;
in precedenza la loro introduzione era stata limitata dall'abbondanza
di manodopera servile a basso costo, dalla crisi economica succeduta al
dissolvimento dell'impero romano.
I proprietari dei mulini sono dapprima nobili ed enti religiosi: soltanto
essi difatti possono sostenere le spese ingenti di installazione e manutenzione.
Ma il tornaconto c'è: i capitali investiti vengono ammortizzati
nel giro di uno-due anni, dopodiché cominciano i guadagni, sempre
maggiori, che finiranno con l'attirare più tardi pure i nuovi ceti
borghesi.
COM'E' FATTO IL MULINO DA GRANO
Col termine mulino, genericamente si intende sia il fabbricato, sia le
macchine che al suo interno riducono il grano in farina. Deriva dal latino
molinum, a sua volta proveniente da mola, disco in pietra per mòlere,
macinare i cereali (mola, macina o palmento; nel milanese arrivavano da
cave situate sull'arco alpino).
L'edificio - isolato ma non troppo - sorge sulle rive di un corso d'acqua,
per catturarne l'energia; tramite un sistema di chiuse e paratoie si convoglia
la corrente verso la ruota idraulica, la quale aziona tutti i restanti
meccanismi.
Dentro al locale del mulino, l'elemento più appariscente, oltre
alle ruote dentate e piatte, le cinghie di trasmissione, è rappresentato
da una incastellatura in legno o ghisa (in dialetto pulpet, pulpito),
sopra a cui giacciono le due macine, entrambe forate al centro: quella
inferiore è fissa, attraversata da un palo in ferro, l'albero motore
verticale, il quale a sua volta è innestato nella macina soprastante,
mobile. Quando gira l'albero, gira pure la mola superiore.
La tramoggia, una specie di imbuto sospeso sopra al pulpito, somministra
gradualmente il frumento o il mais, fatto cadere nell'occhio o bocca del
palmento rotante. Scivolando nell'interstizio tra le due mole, il grano
per sfregamento viene convertito in farina (da 2 a 4 quintali all'ora,
a seconda della potenza dell'impianto), convogliata infine in un cassone,
pronta per essere messa nei sacchi. La farina di frumento è integrale
se contiene la crusca; può essere vagliata con una macchina apposita,
il buratto, capace di togliere la crusca e di suddividere in base alla
finezza la farina depurata.
PILE TORCHI FOLLE, ED ALTRO ANCORA
Quello che abbiamo descritto qui sopra è il classico mulino idraulico
per macinare, presente nelle zone di pianura come la nostra. Là
dove ci sono rilievi montagnosi e corsi d'acqua a regime torrentizio,
la ruota idraulica anziché essere verticale, in genere è
orizzontale, mossa da un getto d'acqua "sparato" trasversalmente,
proveniente da un serbatoio artificiale; altra cosa sono infine i mulini
a vento, quelli di Don Chisciotte per intenderci, funzionanti con forza
eolica.
Oltre che per macinare frumento, mais e granaglie simili, molti mulini
di Peschiera Borromeo e dintorni, come vedremo, esercitavano altre funzioni
industriali.
Quando incontreremo il vocabolo pila o pista, dovremo intendere un impianto
nel quale si lavorava innanzitutto il riso, più cereali quali orzo,
miglio, panico. I loro chicchi sono rivestiti da una scorza tenace che
occorre staccare. Anticamente ciò si effettuava per mezzo di pestelli
azionati per via meccanica, entro mortai in granito. Le bucce, pula o
lolla (usate per l'alimentazione animale), venivano sminuzzate nella molazza,
sorta di vasca rotonda in pietra o lamiera dentro alla quale girava una
grossa mola verticale, a volte due, come in un frantoio.
Non solo prodotti di origine vegetale, ma pure materiali differenti potevano
frantumare e miscelare le molazze; per esempio nelle cosiddette polveriere
(famose quelle dell'Ortica, sopra a Linate) si produceva polvere da sparo.
Troveremo dei torchi: qui avveniva la spremitura dell'uva e delle vinacce,
oppure dei semi di lino e ravizzone (colza), da cui si ricavava dell'olio
adoperato a scopi artigianale-industriale o alimentare.
Folla indica a sua volta un mulino provvisto di speciali magli idraulici
per preparare i panni di feltro, assai utilizzato nel passato per le discrete
proprietà idro-repellenti (ci si confezionavano cappelli, pastrani
e mantelli, antenati dei moderni impermeabili).
Variamente impiegate, quindi, le ruote idrauliche dei mulini di Peschiera
Borromeo e circondario: e c'era ancora dell'altro, come segherie, lavanderie,
essiccatoi, filatoi, telai meccanici. In questo secolo, per concludere,
alcune generarono perfino energia elettrica.
MEGLIO DI UN RE
Imbiancato di farina dalla testa ai piedi; robusto, forte, in grado di
caricarsi un quintale di grano sulle spalle; abilissimo nel suo mestiere;
all'occasione buon "meccanico", falegname e muratore. Istruito:
sapeva leggere scrivere e soprattutto far di conto; imprenditore "ante
litteram", furbo come pochi; un ottimo partito insomma, ricercato
dalle ragazze: queste ed altre ancora le virtù e caratteristiche
del mugnaio, il vero re del mulino.
Se l'impianto era piccolo, el murné girava personalmente per le
cascine delle vicinanze (altrimenti incaricava un garzone), col suo carretto,
la baretta dalle due ruote gigantesche, prima a ritirare da agricoltori
e salariati le granaglie, la seconda volta a consegnare la farina.
Tratteneva come compenso dal 10 al 20 per cento del macinato; però
abitualmente faceva la cresta, aumentando in maniera fraudolenta il proprio
guadagno: la cosa era risaputa, lo stesso mugnaio ci scherzava su, coi
clienti, salvo poi continuare a sgraffignare farina.
Alla figura di questo mitico protagonista dell'arte bianca, al suo cosmo
reale o fantastico, si sono ispirati poeti, scrittori, musicisti, nonché
gli inventori dei proverbi, di barzellette e storielle popolari: semiserie,
argute, salaci!
Al di là delle molte leggende fiorite sul conto dei mugnai, il
loro era comunque un lavoro duro, praticato spesso sia di giorno che di
notte in un ambiente freddo, umido (vicino all'acqua). Polvere e farina
turbinavano in continuazione, nel mulino: che fatica respirare! Inoltre
ogni quindici giorni circa toccava affrontare l'operazione più
antipatica e molesta: rimuovere le mole, martellarne le superfici per
restituire loro la forza abrasiva; ancora pulviscolo, peggiore del precedente,
nuovi dolori, per la salute del mugnaio.
Ciononostante egli amava la sua professione: "il mestiere più
bello del mondo", è stato scritto. Perché il mugnaio
era un uomo libero, libero di lavorare come e quanto voleva, senza dover
rendere ragione del proprio operato a nessun altro, fuorché a sé
stesso e alla famiglia; un anticipatore dei tempi, el murné, spesso
controcorrente, romantico individualista.
I MULINI DI PESCHIERA BORROMEO
Dopo questa lunga premessa, entriamo finalmente nel vivo del racconto.
Immaginiamo di calarci nel nostro ambiente, di andare zig-zagando alla
ricerca degli impianti molitori, "le antiche vie del lavoro":
il viaggio ci farà scoprire, magari appena dietro l'angolo di casa,
una realtà insospettata, tracce di un passato più o meno
remoto, degno di attenzione e rispetto; quando fra spruzzi d'acqua, cigolìo
di ruote, polvere e farina, i mulini cantavano, i mulini vivevano.
Il territorio preso in considerazione è quello del Comune di Peschiera
Borromeo (contava una ventina di mulini), al quale per ragioni di contiguità
e completezza abbiamo aggiunto Mediglia e Pantigliate (rispettivamente
15 e 4 mulini), trattate per sommi capi.
LINATE, IL PAESE DEI MULINI
Cominciamo il giro dalla frazione di Linate, luogo ideale per l'insediamento
dei mulini, grazie al Lambro. Di qua e di là dal fiume, già
nel Medioevo troviamo un assembramento tale, di impianti molitori, da
destare meraviglia. In paese s'è raggiunto il numero di cinque,
a ridosso delle rogge Gibellina e Cornice. Un sesto, il Molinetto di Santa
Corona, stava a nord; un altro ancora presso l'attuale cascina Topicco.
Quasi tutti costruiti dai frati Umiliati, che a Linate avevano un convento.
Di questi mulini è giunto sino a noi quello soprannominato del
Farinazzo, di cui si hanno notizie certe dal 1400; nel 1722 dispone di
tre ruote e viene così definito: molino, molazza e torchio d'olio.
Una vera industria nel 1834 si insediò al Farinazzo e negli altri
mulini linatesi. Si trattava addirittura del primo esperimento in Italia
di filatura meccanica della lana, con successiva fase di tessitura: ben
150 gli operai impiegati; costose macchine tessili importate dall'estero,
funzionanti idraulicamente. Per cause diverse, tale ditta chiuse i battenti
nel 1845. Le macine tornarono quindi a far sentire il loro ron-ron per
altre decine d'anni. Pampuri si chiamava il mugnaio, capostipite di una
famiglia giunta quasi fino a noi.
Nuovo dietro-front nel 1930: arriva Marino Gripia e vi impianta una lavanderia
meccanica; el rudun pompa l'acqua, muove un grosso cilindro per lavare
i panni e la centrifuga. Nel 1979 la grande, secolare ruota in ferro (6
metri di diametro per uno di profondità) va definitivamente in
pensione, senza però essere eliminata. Il fabbricato, dopo ristrutturazione,
diventa di lì a tre anni l'Hotel Vecchio Mulino.
Sempre in territorio di Linate, cioè alla cascina Boscana, nel
1945 fu realizzato un mulino molto singolare: la ruota idraulica produceva
energia elettrica per l'azienda agricola.
MEZZATE
Da Linate spostiamoci verso Mezzate. Poco al di sotto del sentiero campestre
che collegava i due paeselli, all'altezza di Canzo già nel 1600
è segnalato il Molinetto di Mezzate, sulla roggia Lirone. Le carte
catastali del secolo successivo indicano un'appartenenza ai Conti Corio
di Milano, specificandone le caratteristiche: "molino e pila";
quindi lì gli impianti erano duplici, polifunzionali, per grano
e riso.
Esistevano altri mulini a Mezzate? Parrebbe di no, in quanto le carte
d'archivio a noi note non ne fanno parola. Senonché, se ci incamminiamo
sulla stradina per Longhignana, alla cascina S.Maria del Bosco scopriamo
due grosse macine dall'aria vetusta, murate nella parete dell'edificio
più antico, visibilissime dalla via.
Ciascuna di esse dovrebbe pesare 3-4 quintali. Per quale ragione sono
state portate in cascina? Soltanto per abbellire quella parete, allorché
si costruì la casa? Con quel che pesano, stentiamo a crederlo.
Prima di finire... con le spalle al muro, quelle mole a S.Maria del Bosco
devono aver lavorato sodo, grazie ad una ruota idraulica ubicata dove
adesso c'è l'ex stalla, lambìta dalla roggia Vitaliana.
LONGHIGNANA E SAN BOVIO
Il riciclaggio delle mole a fini para-edilizi trova conferma al castello
di Longhignana; vicino al negozietto di generi alimentari se ne può
vedere una, sprofondata nella muraglia. Per certe particolarità
sembra ultra millenaria.
Dov'era il mulino? A fine Cinquecento sta poco più a nord del maniero,
lungo il sentiero che porta alla cascina San Felice, a cavallo del fontanile
Borromeo. Testimoni oculari dicono che in occasione delle periodiche spazzature
dell'asta del canale, a monte e a valle della chiusa, l'acqua veniva deviata
altrove; con le reti e annaspando sul fondo si tirava su una caterva di
pesci, venduti alla vicina Trattoria dei Cacciatori.
Le carte catastali settecentesche segnalano due ruote, rispettivamente
per il grano ed il riso. Fu raso al suolo quando si costruì il
nuovo quartiere residenziale di San Felice.
Se ogni villaggio aveva il proprio mulino, San Bovio non faceva eccezione.
Si specchiava nelle chiare e fresche acque della roggia Mirabella, a metà
strada tra la chiesa e la cascina Vismara, dove adesso c'è la cava
Concrete. Raccontano, i vecchi del posto sopra menzionati, che il fabbricato
convisse per un certo periodo con il lago artificiale che gli cresceva
intorno, finché un giorno le draghe, impietose, ne aggredirono
il basamento, determinando il crollo dell'edificio.
FIORANO - FORNACE
Località
tra le più antiche del Comune, Fiorano, al centro di una terra
pingue e benedetta. C'era la chiesa e c'era il mulino, minuscola casetta
all'estremità nord dell'abitato: "Sito di molino e pista da
riso" (1722), ceduto in affitto dai Conti Borromeo proprietari dell'intera
possessione. Tale edificio resiste ancora, per quanto diroccato, lungo
una roggia che - guarda caso! - si chiama Molina.
Verso il 1918 palmenti e molazza lasciarono il posto ad un essiccatoio
marca Cattaneo, tuttora presente: tramite un ventilatore messo in moto
dalla solita ruota idraulica, l'aria calda prodotta da una specie di stufa
veniva soffiata di volta in volta sopra a frumento, mais, riso, stesi
su ripiani mobili; dopo questo trattamento i cereali potevano essere immagazzinati
senza pericolo di ammuffire.
Da un mulino all'altro. Anticamente alla cascina Fornace si cuocevano
mattoni e tegole, adoperando l'argilla scavata nei campi circostanti.
Più in qua negli anni, a questa attività artigianale e industriale
se ne affiancarono di nuove, di eguale importanza. Troviamo infatti, all'interno
del fabbricato settentrionale, contiguo alla casèra del formaggio,
un "Molino e pista da riso" (1722), serviti da idonea roggia.
ZELOFOROMAGNO
Nel centro di Zelo, in quella che è stata la residenza di campagna
di Gaspare Visconti, il poeta più acclamato della Corte Sforzesca,
esisteva un mulino: più esattamente nell'ala orientale, dopo il
magnifico colonnato quattrocentesco.
A metà Settecento, proprietario dell'intero caseggiato risultava
il marchese Giulio Antonio Lucini. Come di consueto, anch'egli non gestiva
in proprio il mulino, ma preferiva darlo in affitto. Al mugnaio il lavoro
non mancava, perché quell'impianto, adacquato dalla roggia Molina,
svolgeva contemporaneamente due funzioni: macinava grano e brillava il
riso.
Fu così per molto tempo, fino al momento in cui, nei primi decenni
del nostro secolo, mutate esigenze economiche e produttive consigliarono
di sostituire gli impianti molitori con un piccolo essiccatoio meccanico,
collegato alla ruota idraulica, che i più anziani ricordano in
attività.
BRUSADA - BETTOLA: OSTERIE E MULINI
E' rimasta famosa, la Brusada, per l'omonima antica osteria: fino a vent'anni
fa richiamava clienti per un raggio di decine di chilometri. Ma anche
il suo mulino godeva di ottima considerazione, perché lavorava
grano e riso come pochi sapevano fare. Sorgeva all'entrata della cascina,
alimentato dalla roggia Fontanin; cessò di vivere sullo scorcio
del secolo passato, con dispiacere di molti. Il fabbricato non venne demolito,
bensì inglobato in altri, in modo da formare una lunga ininterrotta
teoria di case sul lato nord del cascinale.
Come noto, Bettola si chiama così in virtù dell'osteria,
situata dai tempi degli antichi romani ai margini della vecchia Paullese;
il villaggio vero e proprio distava qualche centinaio di metri: Biassano,
e come biglietto da visita esibiva all'entrata occidentale un "molino
e pista da riso munito di due ruote" (1722), fatte girare dalle acque
di un ramo sussidiario della roggia Vitaliana. Sopravvisse, pare, fin
verso il 1920.
LA PILA DEL CASTELLO
Mormora il ruscello fuori casa; gracidano le rane; cinguettìo di
uccelli; stormir di fronde. Ma dove siamo? Dov'è quest'Eden? Rispondere
non è poi così difficile: ci troviamo nel cuore verde di
Peschiera, a pochi passi dal castello Borromeo, sull'uscio di uno degli
edifici che gli fanno corona a mezzogiorno.
E' il vecchio mulino, meglio conosciuto come la pila, perché qui
si pelava il riso; difatti all'interno, adattata a basamento per il camino,
vedi una grossa pietra squadrata solcata da cerchio, sopra alla quale
ruotava la mola verticale, sminuzzando pula e lolla, gli strati corticali
del chicco.
Sulle mappe catastali del 1722 questo fabbricato non compare; c'è
al contrario su una carta topografica del 1833. Intonò la sua nenia,
la pila, fino ai primi anni del nostro secolo, in seguito i proprietari
dell'epoca, Besostri, la trasformarono in abitazione (nel 1926 tornò
ai Conti Borromeo).
La ruota idraulica dev'essere sempre stata in legno, con un diametro di
circa 4 metri, come si arguisce misurando le tracce lasciate sulla facciata
del mulino, sotto il portico. Con la dismissione della pila, della ruota
s'è fatto legna da ardere; le macine, due, sono invece finite nel
giardino del castello, a fini ornamentali.
MULINI NEL CASTELLO
Elemento tipico del paesaggio lombardo, il mulino ad acqua: come tale
figura in moltissimi dipinti antichi e moderni, realistici o di fantasia,
a far da sfondo a personaggi più o meno importanti, ovvero come
protagonista della rappresentazione pittorica.
Così accade per esempio nel castello di Peschiera Borromeo; tra
gli affreschi che ricoprono le pareti delle sale visitabili, si notano
facilmente tre mulini in primo piano, ma non è escluso che un esame
più attento consenta di scoprirne altri, specie nelle zone sfumate
in lontananza, che la patina del tempo, la perdita di vivacità
nei colori, hanno reso di difficile lettura.
Questi tre mulini occupano spazi importanti: uno sta nel salone principale,
sopra alla porta d'entrata; il secondo, nella stanza che segue, riempie
quasi completamente una parete; così dicasi del terzo, l'immagine
più bella e nitida del trio, in una sala successiva.
Ciascuno di essi mette in mostra una grossa ruota idraulica (quello di
mezzo, addirittura una coppia di ruote gemelle appaiate); presumibilmente
si tratta di soggetti non ripresi dal vero, bensì di modelli ideali,
funzionali e pertinenti tuttavia con il contesto paesaggistico nel quale
sono inseriti, segnato da dolci colline, pianure, boschi e corsi d'acqua,
castelli e paesi.
L'epoca di realizzazione di questi tre soggetti è compresa forse
nell'arco di un secolo o poco più, tra l'ultimo quarto del '500
e la fine del Seicento.
MULINI DEI DINTORNI
Come Peschiera Borromeo, anche Mediglia era terra di mulini: è
arrivata a contarne 15, poco meno del nostro Comune. Di seguito diamo
l'elenco con relative caratteristiche, iniziando da nord-ovest e procedendo
grosso modo in senso orario.
Pila da riso alla cascina Strepada; mulino da grano a Robbiano; mulino
di Bruzzano; mulino con pila alla Canova; tre impianti polifunzionali
sorgevano a Gavazzo e vicinanze: sito di molazza per macinare bulla e
linosa, mulino e pila da riso, casa con mulino e pila. Sulla strada Cerca,
all'altezza di Bustighera: mulino, pila e torchio d'oglio; mulino e pila
a Molinazzo; due impianti alla cascina Borgonovo: mulino, e poi casa con
pista da riso; due folle alla Maiocca; mulino e molazza, più molino
detto del Torchio, alla cascina Resica.
Solo pochissimi di questi impianti sopravvivono: meritano senz'altro una
visita quello di Robbiano, ottocentesco, e l'altro più antico del
Molinazzo, poiché conservano praticamente intatti tutti i macchinari.
Varrebbe davvero la pena di adibirli a museo, tanto sono belli e interessanti.
Se da Mediglia ci spostiamo a Pantigliate, dobbiamo fare una capatina
al vecchio mulino della cascina Riva, altrimenti denominato "di Sotto".
Si tratta di un vero gioiellino, impolverato però integro (salvo
la ruota idraulica in legno, distrutta quando si tombinò la roggia
adacquatrice Càlchera).
Il suo futuro è roseo: l'Amministrazione Civica del vicino Comune
molto saggiamente ha deciso di farlo restaurare a scopi museali e didattici;
ottima scelta, da premiare con un encomio solenne.
Altri tre mulini c'erano ai primi del Settecento a Pantigliate: quello
"di Sopra", con coppia di ruote idrauliche per grano e riso,
tuttora esistente ma trasformato in... canile consorziale; seguivano infine
due pile da riso, rispettivamente alla cascina Roverbella e in un luogo
sud-orientale del Comune, non meglio localizzato, entrambe scomparse.
MUGNAI DEL DUEMILA
Non è un mulino antico, tutt'altro, eppure ci sembra doveroso segnalarlo,
in conclusione, giacché nella zona è l'unico ancora in attività,
il solo rimasto a testimoniare dal vivo una lunga tradizione peschierese,
nel settore molitorio.
Tanto più che chi lo gestisce ha fatto la gavetta, fin da ragazzo,
in un mulino vecchia maniera (sull'altra riva del Lambro, a Gavazzo),
figlio di un mugnaio che a sua volta aveva ereditato il mestiere dal padre
e dal nonno.
Va orgoglioso del proprio mulino, il signor Modesto Colnaghi; dal 1962
è a Canzo, via IV Novembre. Gli impianti sono modernissimi, elettrici,
automatici; macinano mais ed orzo per farne... pastura per pesci, esportata
in tutto il mondo.
Fuori nel giardino, due macine in pietra, cimeli di un passato glorioso.
Come gli avi, anche il mugnaio Modesto ha trasmesso al primogenito Luigi
la professione. E' una ruota che gira; a Peschiera Borromeo, alle soglie
del Duemila, la storia dei mulini continua...
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per gentile
concessione dell'Autore, che ancora una volta ringraziamo sinceramente
Testi di Sergio Leondi
Proprietà letteraria e artistica riservata all'Autore
Impaginazione di Daniele Bertoni
Fotografie: Sergio Leondi, Paolo A. Pinter
© Copyright
1998 by: Comune di Peschiera Borromeo (Milano)
Stampato in Italia - Printed in Italy by:
Inchiostro Arti Grafiche - Gorgonzola
Aprile 1998
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