Città
di Peschiera Borromeo
(Provincia di Milano)
Amministrazione Comunale
Il Carengione si avvia a diventare, finalmente, un patrimonio pubblico
a disposizione di tutti gli amanti della natura.
Per la creazione dell'omonimo Parco, sono infatti passati alla pubblica
proprietà oltre 38 mila metri quadrati di terreno, in parte a bosco.
In tal modo, l'oasi verde di Peschiera Borromeo esce dal limbo delle discussioni,
per farsi sostanza concreta; soprattutto, può aprire ufficialmente
i suoi sentieri agli amanti della natura. D'ora in avanti saremo quindi
liberi il d'andare a passeggiare in tutta tranquillità su quell'area,
senza il pericolo di vederci sbarrare il passo da chicchessia.
Da due decenni gli amministratori di Peschiera Borromeo hanno puntato
gli occhi sul Carengione, individuato come una risorsa straordinaria dal
punto di vista ecologico.
L'occupazione per pubblica utilità, disposta formalmente dalla
Provincia, su iniziativa del nostro Comune, premia pertanto gli sforzi
molteplici dispiegati in questi lunghi anni, oltre che da noi e da chi
ci ha preceduto, da varie associazioni ambientaliste, e dai cittadini
più sensibili alle medesime tematiche.
Adesso occorre procedere velocemente su questa strada, con nuove acquisizioni,
riqualificando la zona, rendendola più accessibile, senza peraltro
snaturarne le formidabili caratteristiche di bio-diversità, le
quali fanno del Carengione un habitat ideale per flora e fauna, vero gioiello
"smeraldino" per l'intero circondario.
Le pagine che seguono sono state redatte con la solita bravura e perizia
dal Professor Sergio Leondi, acclamato storico del Comune, che qui ringraziamo
e complimentiamo: servono a ripercorrere le vicende antiche e recenti
del Carengione, a partire dalla curiosa origine del nome, fino a delineare
alcune possibili iniziative da attuare nel prossimo futuro; serve altresì,
la parte finale, come "guida pratica" per vivere e visitare
l'oasi.
Peschiera Borromeo è in movimento. Forse a chi resta lontano dal
Municipio, ciò non sempre appare, eppur si muove, la nostra città,
e i risultati sono nero su bianco, incontrovertibili.
Come nell'esempio del Carengione, e in quelli consimili del ripristino
dei fontanili, del recupero del nucleo storico, ambientale e paesaggistico
attorno al Castello Borromeo e vicinanze, e più complessivamente
della tutela e miglioramento delle aree verdi, parte delle quali inserite
nel grande Parco Agricolo Sud Milano, di cui siamo strenui difensori in
ogni occasione.
Su questi argomenti così strategici per la qualità della
vita a Peschiera Borromeo, non abbasseremo mai la guardia, anzi aumenteremo
l'attenzione e l'impegno, sia in sede locale che fuori, per conseguire
sempre nuove conquiste di civiltà.
Marco Malinverno
Sindaco di Peschiera Borromeo
Città di Peschiera Borromeo
(Provincia di Milano)
Assessorato alla Cultura - Assessorato all'Ecologia
Gli Assessorati alla Cultura ed Ecologia, insieme, promuovono questa pubblicazione,
dedicata al Parco del Carengione. Riteniamo infatti che la sua storia
passata, presente e futura, costituisca un argomento d'interesse comune
ad entrambi i nostri Settori.
Occuparsi di Cultura, significa anche far conoscere e valorizzare quanto
di bello il nostro territorio offre dal punto di vista naturalistico,
illustrarne la genesi e il divenire, la fruibilità da parte della
popolazione. Così come l'Ecologia è un fatto innanzitutto
culturale ed educativo, prima ancora che una branca della biologia, quella
che studia le relazioni tra organismi viventi e ambiente circostante.
Ecco perché, in perfetta sintonia, abbiamo accolto con entusiasmo
il presente lavoro di Sergio Leondi, che coniuga magnificamente la ricerca
storica e documentaria con l'indagine scientifica e naturalistica, dimostrando
nel contempo una sensibilità ecologica esemplare.
All'Autore esprimiamo quindi tutto il nostro apprezzamento, per averci
fatto scoprire il Carengione, piacevolissima realtà, conosciuto
forse sì, ma finora poco frequentato. Adesso che la cittadinanza
può finalmente avvalersi dello studio che qui introduciamo, utile
anche come "guida" pratica, l'invito che rivolgiamo a tutti
è di visitare questo Parco così straordinario, incontaminato
"cuore verde" di Peschiera Borromeo, in grado di regalarci istruttive
cognizioni, sane emozioni, occasioni di svago, aria buona e salute.
Tosca Bertolini, Assessore alla Cultura
Vittorina Masini, Assessore all'Ecologia
CARENGIONE STORY
Il
Carengione? Credo che ormai la maggioranza dei peschieresi sappia cos'è,
e dove si trovi. Per quei pochi che ancora cadono dalle nuvole, sentendo
la parola Carengione, e per chi ritiene sempre utile rinverdire le conoscenze
acquisite, dico allora che con quel vocabolo ci si riferisce ad una determinata
zona al centro del territorio comunale, ad est di Mezzate e a nord di
Bettola.
Ancora venti anni fa, misurava circa 204 pertiche milanesi, pari a 13,35
ettari, ossia 133.500 metri quadrati; di essi, il 40% era occupato da
bosco, il restante 60% da prati. In due occasioni successive, come vedremo,
la superficie venne allargata.
Per le sue peculiarità geografiche e naturalistiche, quest'area
viene considerata come il cuore verde di Peschiera Borromeo: l'oasi del
Carengione, oggetto di attenzione e studi, tra l'altro, presso varie associazioni
ambientaliste.
Perché Carengione? Fino a ieri ero convinto che il nome derivasse
dal milanese caréggia o carénsgia, riconducibili all'italiano
carrareccia, con allusione ai solchi lasciati sul terreno dalle ruote
dei carri, la carreggiata. E quindi, un sentiero campestre battuto, segnato
dai carri, identificabile con la strada vicinale Mezzate-Fiorano, prolungamento
della via Turati (prima che si costruisse la pista aeroportuale del Forlanini,
arrivava fino a Linate). Un sentierone, un carengione appunto, espressione
acquisita da un bel tratto dell'area che attraversa.
Oggi invece non sono più così sicuro, di questa origine…
carrabile. Propendo anzi per una diversa interpretazione. Il dubbio m'è
venuto sfogliando certi documenti facenti parte dell'Archivio Storico
del Conte Gian Vico Borromeo di Peschiera, che egli, con la consueta cortesia,
mi ha permesso di esaminare (il Carengione è appartenuto per secoli
ai suoi avi).
Più di una volta dunque, su vecchie carte notarili riguardanti
compra-vendita o affitti di terreni, mi sono imbattuto nei vocaboli cariggio
o careggio, al plurale cariggi, cariggioni o careggioni. Molto illuminanti
i seguenti due atti: sotto la data del 1871, nel rogito di vendita della
Possessione Fornace si accenna ad un appezzamento di terra chiamato cariggione,
qualificato come "fondo sortumoso - acquitrinoso -, coltivabile a
risaia e nella maggior parte da zappa"; scendendo più indietro
nel tempo, 1834, nei dintorni della cascina Deserta si parla di "varie
campagne denominate i Cariggioni di Fiorano ed i Cariggioni di Biassano,
per una parte incolti e che producono solo il cosiddetto cariggio".
Sorpresa! Questo cariggio altro non è che il carice, pianta palustre
delle Ciperacee a portamento cespitoso, conosciuta pure come falasco,
con foglie verdi azzurrognole e fiori bruni raccolti in spighe. Da tale
pianta si ricava la materia prima per impagliare le sedie.
Consultando i dizionari del dialetto milanese e quelli di toponomastica,
trovo nuove conferme: careggio o carreggio, col corrispondente accrescitivo,
in Lombardia deriva da carecc, carice; alcuni sbagliando lo traducono
con giuncheto; più correttamente occorrerebbe italianizzarlo con
cariceto.
Oltre a quelli citati sopra, altri cariceti o cariggioni indicano le carte
dell'Archivio Borromeo a San Bovio, Mirazzano, Longhignana. Come dire:
pressoché ovunque!
IL CARICE
Tipico delle
zone fredde-temperate, ombreggiate ed umide, il carice (dal latino carex
- caricis, connesso a carere, cardare o graffiare, per via dei margini
fogliari duri e taglienti) è una pianta "colonizzatrice",
cioè si insedia per prima nei pressi delle rive di lanche e depressioni
colme d'acqua stagnante. Si conoscono circa 1100 specie, un centinaio
delle quali crescono in Italia. Quelle che a noi interessano particolarmente,
sono il carice di ripa (carex riparia), e il carice irto (carex hirta).
Con i suoi rizomi tale pianta trattiene i sedimenti vegetali, organici
e terrosi concorrendo, recita l'Enciclopedia Motta, "alla formazione
di prati acidi ed acquitrinosi che si trasformano successivamente in pseudo-praterie
a terreno molle e quindi in torbiere verdi".
Esaurita la sua funzione di apripista, pian piano il cariceto declina
fino a scomparire, sostituito da altre specie erbacee semi-palustri (sedano
d'acqua, crescione, ecc.), per giungere al termine del processo evolutivo-insediativo
e botanico, con piante del tutto terrestri: rovi, ontani e salici, pioppi,
olmi, e così via… È questa una delle ragioni (congiunta
alla bonifica intrapresa dall'uomo) per cui adesso i carici sono piuttosto
rari a Peschiera Borromeo, fatta eccezione… per il Carengione, dove
si può ancora rinvenirne diversi esemplari.
Sollecitato dalle informazioni fornitemi dai documenti del Conte Gian
Vico Borromeo, sono andato ad interrogare le mappe catastali dei Comuni
di Peschiera e Mezzate, datate 1722. Scrutando i cosiddetti "sommarioni",
che sul bordo delle tavole elencano i proprietari delle singole particelle
immobiliari, con relativa estensione ed uso del suolo, mi sono sentito
maggiormente confortato nella mia tesi, circa la provenienza del nome
Carengione.
Soprattutto a sud-ovest della Deserta (cioè esattamente dove sta
il Carengione attuale) si rintracciano "prati e pascoli liscosi -
da lisca, pianta palustre imparentata col carice, usata per rivestire
seggiole e fiaschi - e sortumosi detti il cariggio", "pascoli
liscosi e paludosi", ovvero risaie chiamate il cariggio o carigge.
CARENGIO, CARENGIONE E CARENGETTO
Se ne deduce pertanto che la bonifica, la trasformazione del terreno (spontanea
ma in particolare artificiale, umana), è avvenuta da noi in modo
molto graduale, scaglionata nel tempo, nel lungo periodo. Ricordo le parole
usate nel luglio 1526 da Francesco Guicciardini, famoso letterato e politico,
luogotenente generale del Papa presso l'esercito della Santa Lega di Cognac,
per descrivere i nostri posti: "Siamo venuti a la Peschera, luogo
de' Bon Romei… el paese è forte et paludoso, che è
difficoltà uscirne, et in fatto non comparisce el camminare…
Se fusse di verno - d'inverno - non usciremmo così presto".
Un secolo innanzi, la situazione doveva essere ancora peggiore. Su un
fascio di pergamene dell'Archivio del Seminario di Milano si legge che
nei pressi di Longhignana c'era un blocco di 1026 pertiche di terra così
descritta: "petia una carrigiorum", ossia "dei carici".
Le stesse pertiche figurano su precedenti atti del 1318; i frati Umiliati
proprietari di quei beni, esigevano dai loro conduttori e coloni la raccolta
e trasporto dei carici fino alla loro grangia (fattoria) e cassinas di
Longhignana (la grangia venne ceduta nel 1456 a Filippo Borromeo e trasformata
in Castello, ora di proprietà Temporali, sede della rinomata Trattoria
dei Cacciatori).
Tornando all'origine del toponimo Carengione, rispetto alla interpretazione
finora accettata per buona e derivante da carreggiata, mi sembra di poter
concludere, sulla base delle scoperte archivistiche più recenti,
che quest'altra, la quale lo fa discendere dalla pianta del carice, sia
più plausibile (con una minima storpiatura: l'aggiunta di una enne
centrale).
Ovviamente hanno la stessa etimologia Carengio e Carengetto : il primo
corrisponde per l'esattezza alla porzione settentrionale dell'area complessiva
di cui sto discorrendo, ubicata a monte della strada sterrata Mezzate-Fiorano;
il secondo alla striscia di sud-est. Con Carengione occorrerebbe cerchiare
sulla carta geografica solo quella centrale, sebbene per comodità
e antica consuetudine, quest'ultimo toponimo abbia ormai assorbito anche
gli altri due "minori".
Data la conformazione e la qualità acquitrinosa del terreno, nel
corso dei secoli l'uomo ha evitato di insediarsi stabilmente al Carengione,
andandoci solo per lavoro, o a caccia e pesca. Registriamo un'unica eccezione:
nelle mappe del Catasto asburgico del 1722, sul bordo meridionale della
stradina anzidetta figura il "sito della cassina del Cantaluppo";
anch'essa, come tutto il resto, appartenente al conte Carlo IV Borromeo.
Si trattò comunque di una parentesi effimera: dalla cartografia
dei primi anni dell'Ottocento, la cascina scompare. Forse i lupi da cui
essa prendeva il nome… misero in fuga gli abitanti, e convinsero
il proprietario a demolirla, per recuperarne, se non altro, il materiale
edilizio.
ARRIVANO I CAVATORI
Oggigiorno il Carengione ha un aspetto, in alcuni tratti, quasi selvaggio:
boscaglia impenetrabile, intervallata da stagni, dossi e rilievi; negli
spazi aperti e pianeggianti interstiziali, coltivazioni di soia, girasole
e mais.
Non sempre è stato così. Alla metà del XX secolo,
ultimati i lavori di prosciugamento e risanamento, si presentava con caratteristiche
simili al territorio circostante: campi ove si raccoglievano foraggi e
cereali. Prati solcati da canali, fossi, fontanili (cavo Responsale, fontanili
Nuovo della Bettola, Boschetto o del Bosco, di Mezzate, Carolina, ecc.);
sugli argini dei quali crescevano prevalentemente, allineati in bell'ordine,
pioppi e gabbe (salici capitozzati), ed altre piante di pregio.
Erano però terreni più sabbiosi, argillosi, umidi e "acidi"
degli altri, riferiscono i vecchi agricoltori che li avevano in affitto,
e come tali meno remunerativi. Per questo motivo la proprietà del
tempo, il Pio Istituto Buzzoni-Nigra di Sartirana Lomellina, verso il
1955-56 decise di darlo in concessione per usi extra-agricoli ad una impresa
di cavatori, emanazione del Gruppo Cabassi (a Peschiera Borromeo l'attività
estrattiva furoreggiava: esistevano diverse cave, un paio delle quali
ancora attive).
Sul posto giunsero potenti draghe e scavatrici meccaniche, che presero
a "saggiare" il terreno rimuovendo le zolle superficiali e i
primi strati sottostanti. Si formarono pertanto, da un lato, buche di
varie dimensioni, con affioramento della falda acquifera, e dall'altro
enormi ammassi di terriccio. Secondo alcuni testimoni oculari, l'intento
era anche quello di tracciare con la terra spostata una pista o piattaforma,
sopraelevata rispetto al piano di campagna, per gli autocarri della Ditta
cavatrice.
Per migliorare la viabilità interna, alcuni corsi d'acqua artificiali
ed i fontanili presenti vennero - ahimè - interrotti, deviati o
interrati (sicché oggi risulta difficile irrigare quei terreni,
e a volte bisogna ricorrere alle idrovore, che pescano l'acqua più
o meno lontano).
Durarono gli assaggi molti mesi, quindi cessarono all'improvviso. A quanto
si vocifera, probabilmente i cavatori non ottennero le necessarie autorizzazioni
per l'apertura della cava, oppure l'esame dei campioni di sabbia e ghiaia
prelevati - di scarsa qualità - sconsigliarono dal proseguire.
Nel luglio 1960 la proprietà di quelle circa 200 pertiche passò
formalmente all'Asilo Infantile Avvocato Giovanni Buzzoni di Mezzate,
eretto in Ente Morale; dopo pochi anni il Consiglio di Amministrazione
dell'Asilo le vendette a privati. Adesso appartengono in massima parte
a Giuseppe Melzi e figli, titolari di una società dedita a lavori
di cava, con sede a Sesto San Giovanni.
NASCE L'OASI
Intanto al Carengione s'era creato un paesaggio "lunare" con
crateri, trincee, avvallamenti pieni d'acqua ferma, un su e giù
di catene di montagnole (alte da uno a tre metri, specie a sud), radure,
spiazzi, collinette isolate…
Rimasta abbandonata a sé stessa, questa fetta di territorio si
ricoprì ben presto di una vegetazione lussureggiante, tipica delle
zone "umide", quale pressappoco affollava anticamente la bassa
Lombardia: una foresta di erbe e cespugli, piante acquatiche e d'alto
fusto. Pregiate essenze arboree autoctone, ormai eliminate dalla zona
o ridotte al classico lumicino di candela, fecero la loro ricomparsa,
crebbero forti e robuste: aceri campestri, carpini, ontani, querce farnie,
ciliegi silvestri, noccioli, salici, olmi…
Di pari passo con la flora, altrettanto intraprendente si dimostrò
la fauna, variamente colonizzando e popolando il Carengione: aironi rossi
e cinerini, germani reali, gallinelle d'acqua, fagiani, lepri, tassi,
ricci, rapaci, rane ed altri anfibi, rettili - innocui! - e invertebrati,
perfino carpe e pesci gatto, seminati nei laghetti (o nelle "cavette",
come venivano chiamate le depressioni) da aspiranti pescatori.
Grazie al suo isolamento dai centri urbanizzati, al traffico scarsissimo,
alle peculiarità fisiche e geomorfologiche, il Carengione divenne
una specie di oasi naturale, habitat ideale per numerose specie di piante
e animali. Come tale acquistò una certa fama, e avventurosi pionieri
esploratori ne fecero una delle loro mete preferite per escursioni caserecce
in mezzo alla natura.
D'accordo: paragonando il Carengione ad altri ambienti montani o marini,
fluviali o lacustri, la sua importanza si ridimensiona parecchio; ma qui,
non dimentichiamolo mai, siamo alle porte della metropoli milanese, ingolfata
di auto, avvelenata dallo smog, priva di verde.
Di conseguenza dobbiamo essere orgogliosi della nostra piccola "isola
felice", prezioso lembo di terra da salvaguardare, memoria storico-biologica
dell'Insubria, rifugio spontaneo scelto "naturalmente" da uccelli
ed animali, ricercato con passione dagli ultimi discendenti dell'homo
sapiens sapiens, quelli che vanno a caccia… di emozioni sane, di
un contatto più immediato e diretto con la natura incontaminata.
IL PRIMO DIVULGATORE
Uno dei primi a scoprire e ad aver chiara l'idea di cosa fosse e poteva
diventare il Carengione, fu Egidio Gavazzi, giornalista, fondatore e direttore
del prestigioso mensile Airone. Gavazzi abitava a Peschiera Borromeo,
quartiere San Felice: nelle ore di tempo libero inforcava la bicicletta
e si tuffava nel verde del Carengione, armato di binocolo e macchina fotografica
con teleobiettivo. Prediligeva, guarda caso! … gli aironi, e al Carengione
trovava di che saziarsi, ad abundantia.
Quando lo incontrai stava preparando il "numero zero" della
sua rivista, che mi mostrò in anteprima (il titolo, chissà?
forse glielo ispirarono gli splendidi omonimi pennuti dell'oasi peschierese!).
Parlammo per ore del Carengione, e al termine della chiacchierata lo pregai
di passarmi un pezzo per il Confronto, giornale locale che allora dirigevo.
L'articolo apparve sul numero di settembre-ottobre 1980, ad impreziosire
un mio "Speciale Cave di Peschiera Borromeo", che riscosse un
certo interesse nei lettori. Lo scritto bellissimo di Egidio Gavazzi (al
termine del paragrafo ne riproduciamo ampi stralci) smosse perfino le
acque solitamente stagnanti della politica, suscitò e calamitò
sul Carengione l'attenzione degli amministratori pubblici e dei cittadini
più sensibili alle tematiche ambientali.
Del Carengione si prese a discutere sempre più spesso, un numero
crescente di persone vedeva ormai quell'area non più, com'era accaduto
in passato, alla stregua di un'occasione mancata di sviluppo industriale
(la cava abortita, mai nata), ovvero come una discarica disordinata, o
equivoco ritrovo di balordi (purtroppo il Carengione fu teatro addirittura
di uno sconvolgente fatto di sangue, l'assassinio di una ragazza della
Milano-bene, 26 marzo 1976). I più lungimiranti si resero conto
che il Carengione poteva trasformarsi in una valida risorsa in termini
ambientali per il Comune e l'intero circondario.
IL CARENGIONE
Gli aironi ed altri uccelli acquatici nidificano a poche centinaia di
metri dalle abitazioni, in questa zona palustre che può diventare
una importante oasi naturalistica per Peschiera Borromeo.
di Egidio Gavazzi, Direttore di "Airone"
… Da vent'anni il Comune di Peschiera difende con successo il proprio
territorio dagli assalti della speculazione, un territorio che oggi è
il più integro, il meglio urbanizzato, e pertanto socialmente sano,
fra tutti quelli dell'hinterland milanese a egual distanza dal capoluogo.
Prova ne sia la destinazione di parte del territorio comunale al futuro,
quanto un po' fantomatico, Parco Est (poi inglobato nell'attuale Parco
Agricolo Sud Milano - N.d.R.).
Proprio nel comprensorio del futuro parco, fra centinaia di ettari di
vergine campagna lombarda con splendide architetture rurali di cinquecentesche
cascine, fontanili di acqua purissima avvolti nell'ombra di ontani, di
querce, di olmi e di altre essenze spontanee della pianura padana, vi
sono un paio di cave di cui ci preme parlare: si tratta della cava Farsura
(ubicata a sud dell'Idroscalo e ad ovest di Mezzate - N.d.R.) e della
località detta il Carengione, dove in passato qualcuno tentò
un "assaggio" di cava e quindi piantò subito il lavoro,
lasciando, come era consuetudine, il terreno sconvolto da solchi e da
buche riempite d'acqua, da argini e collinette di terriccio e di ghiaia.
Sono passati anni e gli argini di monticelli si sono ricoperti di vegetazione
spontanea mentre le buche e i solchi si sono popolati di rane e di pesci:
il "Carengione" è diventato un angolo di natura spontanea
in un territorio così intensamente sfruttato a fini agricoli, da
non presentare altri scampoli dell'ambiente naturale primitivo.
Il Carengione e la cava Farsura presentano dunque caratteristiche tali,
sia per il loro stato attuale, sia per la loro posizione defilata, lontana
da strade e da insediamenti, che consentono loro di diventare i "poli
umidi" di un'autentica oasi naturalistica destinata alla flora e
alla fauna padana, da istituire e da gestire nell'ambito del costituendo
Parco Est.
In questi luoghi, che per fortuna pochi conoscono, nidificano ancora fra
le canne il tarabusino, la gallinella d'acqua, e perfino l'airone rosso,
un uccello di grosse dimensioni che sorprende di trovare così vicino
a Milano. In questi luoghi, qualora vi fosse vietata la caccia come da
più parti si auspica, d'inverno troverebbero sicuro rifugio stormi
di anatre, di beccaccini, di pavoncelle e di tante altre specie di migratori.
Chi ci legge a questo punto potrà chiedersi come è possibile
conciliare le esigenze degli uccelli selvatici con quelle del numeroso
pubblico che vorrà frequentare il parco. Ebbene, la vocazione del
Parco Est, preceduto uscendo da Milano dal Parco Forlanini, dal Parco
dell'Idroscalo, dal Parco di Novegro, dal Luna Park e da tutte le infrastrutture
sportive che vi orbitano attorno, non ci sembra sia quella di ripetere
forme e scopi delle altre aree ricreative, ma piuttosto quella di diventare
qualcosa di più raffinato a disposizione di coloro che vogliono
assaporare una più discreta comunione con l'aria aperta e col verde.
Pertanto noi vedremmo parcheggi lontani dagli epicentri naturali del Parco;
sentieri di penetrazione soltanto pedonali, equestri e ciclabili; divieto
di uscire dai percorsi stabiliti al fine di conservare l'ambiente naturale
in prossimità degli epicentri naturalistici (mentre le aree di
verde calpestabile dovrebbero restare alla periferia e in prossimità
dei parcheggi dove verrebbero situati anche i servizi); infine, nel centro
del Parco, nel centro di un'autentica oasi, un breve percorso su passerelle
e una grande terrazza di legno attrezzata con ristoro, sedie, tavolini,
e cannocchiali a gettone, consentirebbe al pubblico dei frequentatori
di ammirare il cuore dell'oasi: una grande distesa d'acqua, con bordi
di tifa e di canne, e la superficie fiorita di ninfee e di loti, percorsa
dal tranquillo andirivieni degli uccelli acquatici resi confidenti dal
rispetto e dalla protezione.
Attorno alle due zone umide proposte, un'ampia fascia cintata potrebbe
ospitare animali di maggiori dimensioni appartenenti alla fauna lombarda,
come potrebbe essere il caso di un branco di cervi che qui potrebbero
vivere in condizioni di semilibertà, mentre un oculato rimboschimento
con essenze proprie della Valle Padana potrebbe rendere ancora più
"naturale" l'aspetto dell'oasi.
Chi ci legge non creda che la nostra proposta nasca da un atteggiamento
romantico, sognatore, utopistico. Niente affatto: abbiamo visitato e abbiamo
goduto questo tipo di parco naturale alle periferie di Vienna, di Londra,
di Parigi, di Madrid, di Zurigo e di tante altre città europee;
e pertanto ci siamo chiesti perché soprattutto in questo campo
noi italiani dobbiamo continuare a essere il fanalino di coda?
(dal giornale locale "Il Confronto", Settembre-Ottobre 1980)
DUE VISITE IMPORTANTI
Nel gennaio 1984 il Corpo Forestale dello Stato effettuò un sopralluogo
al Carengione, su invito della nostra Amministrazione Civica, e il 1°
febbraio indirizzò al Comune una lettera evidenziandone l'importanza
sotto il profilo naturalistico.
Dalla relazione allegata, stralciamo questi passaggi assai significativi:
"L'alternanza di spazi aperti e di fasce arborate… caratterizza
l'intera zona dandole il tipico aspetto padano e garantendo i presupposti
per una notevole ricchezza e varietà di fauna (mammiferi, uccelli,
rettili, anfibi, crostacei, insetti). Ciò è anche documentato
dalle specie osservate durante il sopralluogo (germani, scriccioli, pettirossi,
ecc.)", nonché dalle testimonianze raccolte.
"Le fasce arborate sono costituite da robinia, platano, ontano, farnia,
salici e pioppi; numerose anche le varietà arbustive, tra cui noccioli,
biancospini, sambuco, ecc. La vegetazione è in molte parti in buono
stato vegetativo, numerose le piccole superfici residuali tra coltivi
e canali che potrebbero essere rimboschite con specie d'alto fusto o con
arbusti per privilegiare la sosta e riproduzione dei piccoli uccelli.
"In attesa di definire con maggiore precisione modalità e
tipi degli eventuali interventi di tutela, si ritiene che l'Amministrazione
Comunale possa limitare il transito sulle varie strade campestri che interessano
la zona".
Alla fine dello stesso mese di febbraio, sempre su segnalazione del nostro
Comune, al Carengione ci andò il WWF Lombardia (Fondo Mondiale
per la Natura, Commissione Conservazione). Nel rapporto successivamente
inviato (13 marzo) si segnalavano "fasce di vegetazione spontanea
di notevole interesse", composta principalmente da ontani, pioppi,
salici, farnie, sanguinelli, noccioli, cannucce di palude, tife, giunchi.
"Durante il tragitto" furono avvistati pettirossi, scriccioli,
fringuelli, allodole, codibugnoli, merli, germani reali, migliarini di
palude, passeri d'Italia, cornacchie grigie, barbagianni, bisce dal collare,
moscardini, molluschi.
"L'area è molto interessante perché presenta una grossa
varietà di piccoli ambienti… che permettono l'insediamento
di un'alta diversità di specie"; ed è perciò
meritevole "di essere tutelata e salvaguardata adeguatamente e al
più presto".
IL COMUNE AVVIA LA TUTELA
Forte di questi autorevoli pareri, la Giunta Comunale, su proposta dell'Assessore
all'Ecologia Marco Chittò, nella seduta del 3 aprile '84 individuò
e definì i percorsi campestri del Carengione e vicinanze "di
interesse silvo-pastorale", inaugurando ed esercitando in pratica
un'azione preventiva di tutela paesaggistica.
L'anno dopo, per la precisione il 22 marzo 1985, toccò al Consiglio
Comunale occuparsi del nostro… beniamino. Chittò propose all'assemblea
dei consiglieri ed ottenne l'approvazione di una variante al Piano Regolatore
Generale vigente per "sottoporre ad una speciale normativa ecologica"
quest'area, "le cui caratteristiche ambientali risultano eccezionali"
sia per la flora che per la fauna.
Ad essere vincolati furono 23 ettari di terreno (231 mila metri quadrati):
il Carengione originario, più una cintura esterna di protezione,
fatta di campagne coltivate.
Tra l'altro si disponeva la completa inedificabilità "anche
per impianti o attrezzature di carattere provvisorio", nonché
il regime di particolare autorizzazione preventiva, da parte della Commissione
Edilizia integrata con la presenza dell'Assessore all'Ecologia, per "ogni
opera che modifichi lo stato naturale del luogo, come interventi sul sistema
idrico, movimento di terra, taglio di alberi o arbusti, modifiche colturali",
esclusa la normale rotazione agraria.
A seguito di detta deliberazione, con atto successivo e in pari data il
Consiglio Comunale chiese inoltre alla Regione Lombardia, ai sensi dell'articolo
2 della legge regionale 86 del 30 novembre 1983, di dichiarare l'area
medesima come "zona di particolare rilevanza naturale ambientale".
Malauguratamente tale richiesta non ebbe seguito, poiché l'apposita
Commissione Provinciale competente non venne mai investita della questione
da parte dell'organo regionale.
Di lì a poco, con la legge n. 41 del 23 aprile 1985 la Regione
modificò ed integrò le norme della precedente legge 86,
introducendo l'ipotesi del riconoscimento dei parchi locali di interesse
sovracomunale.
Ritornò alla carica il Comune di Peschiera Borromeo, 15 marzo 1990,
approvando in Consiglio all'unanimità l'istituzione in località
Carengione di un "parco naturale locale" così classificato,
cioè "d'interesse sovracomunale".
Stavolta la Regione Lombardia, alla quale era stato chiesto il relativo
riconoscimento, rispose (10 dicembre '90) di non poter prendere in considerazione
la domanda, in quanto l'area interessata ricadeva nell'ambito del Parco
Agricolo Sud Milano, istituito con la legge regionale n. 24 del 23 aprile
1990. Da questa data in avanti fu perciò l'Ente Parco ad occuparsi
in prima battuta del Carengione, d'accordo con il Comune di Peschiera.
LA RICERCA PER IL PARCO SUD
Facciamo un passo indietro. La nascita del Parco Sud era stata preceduta
da un serrato dibattito tra le forze politiche, e segnava una grossa conquista
per le associazioni e quei cittadini che a gran voce il Parco avevano
chiesto e voluto. In vista della sua istituzione, il WWF Sezione Sud Milanese
(con sede a San Donato) nel dicembre '88 aveva chiesto alla Regione Lombardia,
per il Carengione, una "espansione della zona da sottoporre a norme
di salvaguardia", portandola da 23 a 40 ettari.
L'associazione ambientalista dichiarava inoltre la propria disponibilità
"ad avviare un corretto e necessario dialogo con gli agricoltori
interessati", dando per certo un loro coinvolgimento, ed infine "a
studiare forme di gestione della riserva che veda il WWF parte attiva".
Su sollecitazione di molti, Regione Lombardia e Provincia avevano in precedenza
attivato un "Comitato di proposta per l'istituzione del Parco di
cintura metropolitana Sud Milano", allo scopo di individuare l'area
da perimetrare, avviare "studi conoscitivi", elaborare una bozza
di legge istitutiva.
Per quanto attiene al secondo obiettivo, il Comitato concentrò
la propria indagine su tre zone, in virtù della loro valenza ambientale
e paesaggistica: ad ovest il Ticinello, al centro-sud Morivione, ad est
… il nostro Carengione!
Agli Assessorati al Territorio ed Ecologia provinciali venne demandato
il compito di svolgere la ricerca sul Carengione, la prima della serie
prevista. Con il coordinamento generale di Renato Rigamonti e Neia Peraldo,
la responsabilità tecnico-scientifica di Uberto Ceriani (attuale
Direttore del Parco Sud), un folto gruppo di persone lavorò per
mesi e nell'ottobre del 1989 realizzò (in forma ciclostilata) un
elaborato dal titolo serioso: "Ricerca Parco Sud Milano. Studi e
proposte. Carengione".
RICCHEZZA
DI AMBIENTI
Gli autori si proposero di "coniugare la tutela dell'ambiente con
l'uso sociale", in modo da rendere l'area effettivamente fruibile,
e appetibile! da parte di numerose categorie di pubblico. Per tale motivo
l'analisi spazia oltre i confini del Carengione vero e proprio, ed individua
possibili percorsi "turistici", da percorrere preferibilmente
a piedi o in bicicletta, fra l'Idroscalo e la Villa - Tenuta Invernizzi
di Trenzanesio, transitando per il Carengione, il Castello di Peschiera,
la riserva naturale Sorgenti della Muzzetta, nel Comune di Rodano. Dei
vari siti toccati si delineano in maniera sintetica le vicende storiche;
per le cascine, a ragione considerate elementi di forza del paesaggio,
lo stato di fatto e l'uso.
Più specificamente, la ricerca verte sugli aspetti vegetazionali
del Carengione (molto accurato il censimento del patrimonio arboreo e
arbustivo), le modalità di utilizzo dei suoli, le caratteristiche
quali-quantitative dell'idrografia.
Assai valide le motivazioni che portavano a chiedere, in base alla legge
regionale 86/1983, l'istituzione di una "riserva naturale":
meritano di essere rispolverate, pur a distanza di anni. Il Carengione,
si affermava, è come "un'isola oltre che per la disposizione
dei terreni boscati lungo il perimetro, a circondare l'area coltivata
ed ai boschetti all'interno, soprattutto per i vari habitat che vi si
sono creati a seguito degli interventi di rimodellamento del terreno e
della successiva crescita del bosco. È proprio la diversità
degli habitat riscontrati (spazio aperto dato dal terreno coltivato all'interno,
zone umide, zone asciutte, discreta estensione del bosco, elevato numero
di specie arboree e arbustive, corsi d'acqua presso il perimetro esterno,
ecc.) a valorizzare l'area sotto questa luce, perché la variabilità
è un indice di naturalità e di stabilità di un ambiente.
"Se l'ecosistema è polimorfo - multiforme - offre possibilità
di adattamento a più specie animali e possibilità di instaurazione
di una adeguata rete trofica - inerente la nutrizione - che è alla
base anche della creazione di una comunità animale equilibrata.
"Diventa perciò indispensabile che il Bosco Carengione, assieme
alla vegetazione cresciuta spontaneamente lungo la fascia di zona umida
e quella conservatasi nelle zone cuscinetto - immediatamente fuori del
Carengione, cerniera con gli abitati -, siano sottoposte ad opere di valorizzazione
e protezione, perché questo ambiente possa evolversi in un giusto
equilibrio tra le esigenze naturalistiche e quelle antropiche. Il Bosco
Carengione allo stato attuale sta a dimostrare che certi interventi umani,
se debitamente controllati e finalizzati, possono tornare vantaggiosi
per l'ambiente stesso".
LA FAUNA IERI
Il personale della Provincia, laddove aveva accennato alla "creazione
di una comunità animale equilibrata", si era avvalso di un'accurata
indagine scientifica attuata nell'estate 1987 dal Centro Studi Erpetologici
Emys di Milano. Come dice il nome, tale istituto era specializzato in
ricerche sui rettili; in quell'occasione però, i bio-investigatori
operarono a più largo raggio.
Rita Mabel Schiavo e Vincenzo Ferri compirono visite mensili al Carengione
da maggio a settembre. Nella loro relazione finale si legge che il lavoro,
benché "limitato a pochi gruppi animali, vuole fare il punto
sulla fauna presente e valutando i dati raccolti, soprattutto sull'erpetofauna,
trarre conclusioni sull'importanza dell'area e dare suggerimenti per la
sua futura gestione faunistica".
La ricerca ha interessato "i sentieri e le sponde sterrate, i bordi
dei prati e dei campi, tutte le ripe dei fontanili e dei fossi scolmatori.
I campionamenti sugli anfibi e rettili sono stati effettuati con la cattura
diretta o utilizzando un retino ... per le specie acquicole e le forme
larvali. Tutti gli animali raccolti dopo la determinazione ed eventuali
rilevamenti biometrici e bromatologici, sono stati rilasciati in loco.
L'ornitofauna è stata censita visivamente; i dati sui mammiferi
provengono da avvistamenti diretti o dall'osservazione di tracce, orme,
fatte (escrementi) e tane".
Sintetizzando, ecco i risultati della ricerca: tra i mammiferi, i roditori
figuravano come il gruppo più rappresentato; a parte il ratto di
chiavica e il ratto nero, infestanti e per niente simpatici, abbondavano
topolini di campagna e microtini, quali le arvicole d'acqua, nonché
i moscardini. Tra gli insettivori risultavano comuni la talpa, il riccio,
raro il toporagno.
Le specie di uccelli osservate direttamente furono 22, un numero ragguardevole,
ritenuto comunque assai inferiore alla realtà. Molto diffuse le
seguenti specie: cornacchia grigia, storno, merlo, passera mattugia, passera
d'Italia, rondine, allodola, fringuello. Meno frequenti: cardellino, pettirosso,
cutrettola, codibugnolo, cinciallegra, usignolo, gallinella d'acqua, colombaccio,
tortora, fagiano. Pochi esemplari: cuculo, martin pescatore, averla minore,
verdone. Sempre in tema di selvaggina, la Schiavo e Ferri segnalano conigli
selvatici e lepri, possibili prede di una donnola e una faina, localizzate,
ma giudicate altresì "individui erratici".
Passando agli anfibi, i due studiosi elencano rane verdi, raganelle, rospi
smeraldini, tritoni crestati e tritoni punteggiati. Dei rettili censiscono
lucertole, ramarri, biacchi, bisce d'acqua o dal collare, bisce tassellate,
ipotizzando la presenza dell'orbettino. A completare la rassegna animale,
pipistrelli, e negli specchi idrici numerosi pesci non meglio dichiarati.
Queste le valutazioni conclusive degli zoologi: "I dati raccolti,
per quanto incompleti, bastano ad indicare la ancora sufficiente condizione
faunistica di questa località. La conservazione del biotopo nelle
attuali dimensioni è quindi auspicabile. Sono altresì necessarie
alcune azioni di recupero e di restauro ambientale… Va controindicata
ogni attività di ripopolamento ittico con forme predatrici e non
autoctone", con esclusione di pesci della famiglia dei ciprinidi,
tipo alborella, gobione, triotto, sanguinerola, non dannosi agli effetti
della riproduzione degli anfibi.
"Le colture agricole limitrofe dovrebbero essere mantenute a prato
stabile o comunque a colture foraggiere (minimo utilizzo biocidi). Andrebbe
estesa la fascia arborea riparia per aumentare le presenze ornitiche e
la zona di nascondiglio dei rettili. Va posta attenzione all'eccessivo
riempimento degli invasi ad opera delle piante acquatiche o dei detriti
vegetali caduti. Per evitare il ristagno e la conseguente asfissia o peggio,
l'interramento, va considerata la periodica pulitura del fondo (in inverno).
"Per alcune specie di anfibio si potrà procedere in futuro
a piccoli controllati ripopolamenti, con esemplari provenienti da località
limitrofe. Se un domani l'ambiente avesse ripreso il giusto grado di naturalità
e, con la costituzione a Parco Comunale, il giusto grado di protezione,
non sarebbe impossibile pensare alla reintroduzione del rospo bruno del
Cornalia".
Così si esprimevano Rita Mabel Schiavo e Vincenzo Ferri nel 1987.
E oggi: quale sarà la situazione attuale al Carengione, dal punto
di vista faunistico? Per saperlo, occorrerebbe un aggiornamento di quel
tipo di ricerca, in particolare adesso che la realizzazione del Parco
è, come vedremo, già avviata.
LA FLORA OGGI, di Novella Ricotti
(Nota di S. Leondi - Quanto auspicato nel paragrafo precedente, ossia
un'indagine scientifica che ci dia lo stato di fatto odierno del Carengione
riguardo alla fauna, riferito alla flora non ha bisogno di sollecitazioni:
una ricerca siffatta, su questa materia, è appena stata portata
a termine da una nostra giovane concittadina, che si è brillantemente
laureata in Scienze Naturali all'Università degli Studi di Milano
discutendo una Tesi dal titolo: "Parco Agricolo Sud Milano: flora
e vegetazione del Carengione". L'Autrice, la Dottoressa Novella Ricotti,
con squisita cortesia ha accolto un mio invito e redatto lo scritto sottostante,
nel quale sintetizza brevemente il proprio lavoro, la cui importanza risulta
evidente a chiunque. Una copia integrale della Tesi è depositata
alla Biblioteca Comunale, per la consultazione).
Passeggiando per il Carengione, si può osservare una flora spontanea
tipica della Pianura Padana, ancora discretamente conservata e abbastanza
diversificata a seconda del tipo di ambiente in cui cresce.
Lungo le strade sterrate che solcano l'area, le prime piante che si notano
sono quelle arboree: esemplari di Farnia, quercia autoctona della nostra
pianura, di Platano e Robinia, provenienti da altri paesi e perfettamente
adattati al nostro clima, ed anche parecchi Olmi minori, ormai ridotti
ad arbusti perennemente malati a causa di una parassitosi fungina (grafiosi),
che infestandoli, qui come altrove, ne ostacola la crescita.
Inoltrandosi invece nei numerosi boschetti, riconosciamo le "ontanete",
boschi ad Ontano nero, tipici delle zone umide, che al Carengione si estendono
soprattutto in lunghezza mantenendo una larghezza di circa 20-30 metri.
In queste formazioni boschive all'Ontano nero si accompagnano il Salice
bianco, l'Olmo minore, il Pioppo euroamericano, il Ciliegio selvatico,
l'Acero campestre, il Sambuco nero e il Sanguinello.
A terra c'è quasi sempre un fitto strato di Rovo comune ed Edera,
tra i quali in primavera sbucano sovente i fiori del Mughetto, dell'Anemone
dei boschi e della Scilla biflora, oggi piuttosto rari in Pianura Padana,
e pertanto protetti dalla legge, nonché quelli più comuni
della Viola e del Favagello.
Nella parte più settentrionale dell'area, dove si trova il cosiddetto
"cuore" del Carengione, si sviluppa un bosco un po' diverso
dall'ontaneta. Si tratta di un "saliceto" in cui dominano le
fronde argentate del Salice bianco accompagnate da quelle del Salice cinereo.
Entrare nel saliceto risulta un po' difficoltoso a causa dei numerosi
rovi che lo circondano e del terreno che in questa zona si infossa di
un paio di metri. Una volta superate le difficoltà iniziali, tuttavia,
si penetra in un bosco abbastanza aperto, costituito da esemplari di Salice
bianco piuttosto vecchi ai quali si aggiungono piante di Ontano nero,
Platano, Pioppo euroamericano, Robinia, Sanguinello e Biancospino.
Nel sottobosco, in mezzo ad un tappeto di Rovo ed Edera non troppo fitto,
spiccano cespi di Carici e sporadici individui di Vetriola, Vilucchione
e Brachipodio selvatico.
Il Carengione però è caratterizzato non soltanto da boschi
e alberi; l'area anzi è in buona parte occupata da colture irrigue
come Mais, Soia e Girasole. All'interno dei campi coltivati si sviluppa
una vegetazione spontanea costituita da piante infestanti quali l'Ambrosia,
la Cannarecchia, il Pesarone e la Camomilla.
In funzione delle colture, ecco numerosissime rogge lungo le quali si
rinvengono sia piante lianose che erbacee: il Luppolo, l'Ortica, la Canna
palustre e i Carici sono onnipresenti, mentre solo all'inizio della primavera
ammiriamo i rari fiori dell'Iris giallo e, a tarda estate, quelli purpurei
della Salcerella.
Laddove l'acqua ristagna formando delle piccole paludi, ci si imbatte
nel canneto semisommerso, formato esclusivamente dalla Mazzasorda maggiore,
pianta diffusa in tutto il mondo, che occupa sia le sponde che la parte
più esterna di quelle depressioni. Al centro degli stagni, se la
profondità non è troppo elevata, scorgiamo il Ceratofillo,
pianta perfettamente adattata a vivere sott'acqua, mentre la superficie
è spesso ricoperta da un tappeto verde brillante di piccole piante
galleggianti: le Lenticchie d'acqua.
Infine, semplicemente percorrendo le carreggiate e prestando attenzione
a dove si posano i piedi, si può osservare un tipo di vegetazione
assai particolare, rappresentata da piante erbacee in grado di sopportare
il calpestio: le Piantaggini, la Carreggiola, l'Erba porcellana e le Gramigne.
Il Carengione evidenzia quindi una grande varietà di aspetti vegetazionali:
alcuni sono strettamente legati alla presenza dell'uomo, e di conseguenza
piuttosto comuni; altri, come nel caso delle ontanete e dei canneti, denotano
al contrario un buon grado di naturalità, e pertanto meritano di
essere tutelati e valorizzati.
FARE SCUOLA AL CARENGIONE
Mentre in alto loco, a livello scientifico e politico (Centro studi Emys
e Provincia), si operava e rifletteva sul Carengione, esso venne in un
certo senso "adottato dal basso", cioè scelto come area
privilegiata di osservazione, studio e salvaguardia ad opera delle scuole
elementari e medie di Peschiera Borromeo: eravamo a cavallo tra gli ultimi
anni Ottanta e Novanta.
La locale Sezione del WWF ed il nostro Assessorato alla Pubblica Istruzione
organizzarono diverse passeggiate per gli studenti, mentre a livello superiore
la delegazione lombarda del medesimo sodalizio inserì il Carengione
"nel proprio programma didattico", facendone luogo di gite per
le scolaresche non solo peschieresi.
Divenuto meta di ricorrenti, festose ed istruttive uscite didattiche in
mezzo alla natura (qualcuno si accorse con stupore che la Natura, con
la esse maiuscola, stava appena dietro l'angolo dell'edificio scolastico
o di casa), ci fu chi raccolse erbe officinali, chi catalogò le
specie arboree, altri esaminarono la fauna, la qualità delle acque,
e così via…
In quest'opera di ricerca, divulgazione e pubblicizzazione del Carengione,
si distinse in particolare la Quercia Farnia, un'associazione nata praticamente
in ambito scolastico, composta in prevalenza da giovani alunni della Scuola
Media Statale "Virgilio" di Peschiera Borromeo.
Grazie alla collaborazione tra il medesimo Istituto, la Quercia Farnia,
il WWF e l'Amministrazione Comunale, Assessorato Ecologia, nel 1992-93
furono attuate due rilevanti iniziative pro-Carengione: una per l'apertura
e ripristino di alcuni sentieri quasi cancellati dalla vegetazione invasiva
(rovi soprattutto), l'altra per la rimozione dei rifiuti che durante gli
anni, disgraziatamente, si erano colà accumulati. Nel corso dell'Operazione
Carengione Pulito, i valorosi intrepidi partecipanti raccolsero e spazzarono
via tanta immondizia da riempire fino all'orlo un gigantesco container
!
Frutto dell'intesa con il Comune fu anche la redazione, a cura dei soci
della Quercia Farnia, di un'ottima "Guida ai sentieri del Carengione",
apparsa in bella veste tipografica su un opuscolo di ecologia distribuito
gratuitamente nel settembre 1993 a tutte le famiglie, testo (evergreen!)
ripreso e inserito nel mio libro "Peschiera Borromeo. Storie Ambienti
e Antichi mattoni" del '96, e che qui si ripubblica in appendice
per completezza di informazione.
All'anno precedente (2 maggio) risaliva una ordinanza del Sindaco, promossa
dal Settore Ecologia, che vietava tassativamente il transito dei veicoli
a motore nel Carengione, salvo quelli agricoli addetti alla lavorazione
dei campi, per preservare la zona da ogni possibile forma di inquinamento
atmosferico e acustico.
SOLDI DALLA PROVINCIA
Frattanto nella sede della Provincia, e presso l'Ente Gestore del Parco
Agricolo Sud Milano, si pensava a come valorizzare e tutelare concretamente
il Carengione. Nel contesto del Piano Territoriale di Coordinamento per
il Parco Sud (presentato nell'autunno 1993, approvato dalla Regione Lombardia
nell'agosto 2000), la Provincia propose di aumentare l'area del Carengione,
per meglio salvaguardarla, fino a raggiungere la cifra di 130 ettari (1.300.000
metri quadrati), creando una nuova cintura protettiva, dopo la prima del
1985.
Non solo: dopo un lungo iter procedurale, l'Assessore ai Parchi e Sviluppo
Agricolo, nonché Presidente dello stesso Parco Sud, Paolo Matteucci,
riusciva a portare in discussione all'assemblea del Consiglio Provinciale
del 10 dicembre 1998 una proposta di deliberazione così concepita:
"Approvazione del progetto preliminare e definitivo - esecutivo,
1° lotto, 1° stralcio, interventi per la sistemazione forestale
e la riqualificazione ambientale dell'area d'interesse naturalistico denominata
Carengione, Comune di Peschiera Borromeo, per un importo complessivo di
lire 1.296.937.552 = comprensivo del contributo ex articolo Legge 109/84".
Gli interventi interessavano una porzione di oltre 38 mila metri quadrati,
su una superficie totale di 130 ettari ("60 dei quali in sub-zona
di interesse naturalistico, 70 invece in sub-zona di transizione tra aree
di produzione agraria e ambiti di interesse naturale").
Si prevedevano due fasi operative di preparazione e di impianto, avvalendosi
della consulenza e dell'opera dell'Azienda Regionale alle Foreste; "preliminarmente
- si dichiarava - dovranno essere acquisite al patrimonio dell'Amministrazione
le necessarie superfici fondiarie mediante procedure d'espropriazione".
A tal fine veniva destinata la somma di quasi un miliardo e 200 milioni
di lire. Altri 100 milioni andavano invece all'esecuzione dei lavori di
forestazione e riqualificazione ambientale.
Venne approvata all'unanimità (con una sola astensione), la proposta.
Molto importante il punto 7: "Le procedure espropriative e d'eventuale
occupazione d'urgenza dovranno essere iniziate entro il 30 settembre 1999
e terminate entro il 31 dicembre 2000, mentre i lavori dovranno essere
iniziati entro il 30 novembre 1999 e terminati entro il 31 dicembre 2000"
(i termini per l'inizio e fine lavori a maggio 2000 sono stati prorogati
dalla Giunta Provinciale, e fissati rispettivamente al 31 marzo 2001 e
31 marzo 2002).
L'OCCUPAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ
Dall'approvazione della delibera del Consiglio provinciale, trascorsero
15 mesi senza che alle belle parole seguissero fatti evidenti. In burocrazia,
purtroppo le pratiche vanno sempre a rilento, e spesso le decisioni solennemente
assunte vengono disattese. Per fortuna, stavolta è andata diversamente
dal solito.
Nonostante l'apparente silenzio, qualcosa ha continuato a ribollire nella
pentola di via Vivaio e dintorni, e seppure in ritardo la risoluzione
tanto attesa è arrivata: il decreto della Provincia numero 2594
del 17 marzo 2000 ha disposto "l'occupazione d'urgenza per pubblica
utilità" dei terreni censiti in Catasto ai mappali 7 ed 8
del Foglio 26, rispettivamente di metri quadrati 38.110 e 260 ("Ditta
Intestataria: S.r.l. Agricola Immobiliare, poi di Melzi e Figli S.r.l.
con sede in Sesto San Giovanni"); terreni "occorrenti per l'esecuzione
dei lavori di sistemazione forestale e riqualificazione ambientale dell'area
di interesse naturalistico denominata Carengione, 1° lotto, 1°
stralcio".
Con un ulteriore atto del 4 maggio, il Dirigente dell'Unità Operativa
Espropri della Provincia, geometra Leopoldo Bordogna, ha invitato il nostro
Sindaco Marco Malinverno a far pubblicare all'Albo Pretorio municipale
un "avviso riguardante la procedura di occupazione d'urgenza".
Mai come in quell'occasione, un invito fu accolto con tanto calore ed
entusiasmo, e prontamente eseguito.
Il documento a chiare lettere indica l'ora ed il giorno della "prevista
presa di possesso degli immobili e redazione dei relativi stati di consistenza":
ore 9,30 del 1° giugno 2000, da effettuarsi direttamente sul luogo,
a cura di funzionari tecnici dell'Amministrazione Provinciale, con la
"necessaria presenza" di due dipendenti del Comune di Peschiera
Borromeo, in qualità eventualmente di "testimoni idonei a
sottoscrivere gli stati di consistenza". L'indennità di occupazione
sarà determinata successivamente "dalla Commissione Provinciale
Espropri di Milano a seguito di richiesta dell'Ente occupante, e comunicata
ai proprietari".
Lo storico meeting c'è puntualmente stato. Senza inutili discorsi
retorici, né fanfare o sbandieramenti vari, uno sparuto drappello
di uomini, laggiù in mezzo ai campi e al bosco, in modo semplice
ma preciso ha finalmente scritto - evviva! - una pagina importantissima
nella storia del Carengione, dando il via ad una stagione nuova, cominciando
a coronare il sogno e le speranze di tutti quelli… che hanno la natura
nel cuore.
I terreni occupati stanno a nord, rispetto all'area complessiva del Carengione.
In seguito verranno gli altri. Certo, la strada che porta alla meta finale
- l'intero Carengione di proprietà pubblica, ambientalmente riqualificato
- è irta di ostacoli, richiede risorse finanziarie, tuttavia se
la volontà politica c'è - lo verificheremo -, tali ostacoli
si potranno superare.
IL FUTURO DEL PARCO CARENGIONE
Per ora è stato compiuto un primo passo, di eccezionale valore,
e come tale va salutato e ricordato. Resta da fare ancora parecchio. Non
scordiamolo: per il momento gran parte del Carengione rimane in mano ai
privati, per cui sarebbe vietato andarvi a spasso dappertutto.
Eppoi la mancanza di cure, la non sorveglianza, l'assenza di infrastrutture
ricettive, ne limitano e ostacolano la fruibilità da parte di molti
ipotetici visitatori. Diversi sentieri, specie quelli settentrionali,
tra i più interessanti, adesso sono quasi impraticabili, perché
invasi dai rovi. Nemmeno i più fanatici della wilderness integrale,
io credo, vorranno che tutto perduri così com'è (a partire
dalla proprietà privata del bene).
Quelli qui sopra accennati sono handicap da superare nel più breve
tempo possibile. Successivamente alla "riforestazione" già
programmata, e a quella che seguirà ai nuovi auspicati espropri,
servirebbero sentieri attrezzati, punti di sosta e riposo, bacheche, cartelli
segnaletici, postazioni per il bird-watching, per safari fotografici,
e quant'altro la fantasia e l'amore per la natura possono ispirarci.
I parchi naturali non sono una riserva preclusa agli umani, accessibile
solo agli uccelli, agli animali. Devono invece essere vissuti e goduti
da parte di tutte le specie viventi (flora compresa), con rispetto reciproco
e mutuo guadagno.
Se ben governato e considerato, il Carengione, come qualsiasi altro parco
naturale, può costituire per la cittadinanza un'àncora di
salvezza di fronte al crescente stress metropolitano, un "salvagente"
per il fisico e la mente, un polmone verde che ci regala ossigeno e occasioni
di svago.
Ma pure il mondo vegetale e quello animale possono trarre benefici da
persone che la natura trattano "coi guanti": se ad esempio in
un parco gli alberi si ammalano, rischia di sparire l'intero ecosistema
locale, con ripercussioni negative incalcolabili. Ecco allora che l'intervento
dell'uomo, fatto con criterio e scienza, risulta provvidenziale, salva
"capre e cavoli", ossia animali e piante dal pericolo incombente,
ricostituisce, dove si altera, l'equilibrio ecologico.
Sia chiaro: il Carengione non deve diventare qualcosa come il Parco Forlanini,
né l'Idroscalo, tantomeno uno dei soliti parchetti urbani peschieresi,
peraltro oltremodo essenziali alla popolazione, e nei casi qui citati,
belli da vedere e frequentare.
Il Carengione è bene che conservi la propria "diversità",
bio-diversità; lì la normativa dev'essere ferrea, e fatta
osservare in maniera draconiana. Tutt'intorno infine occorre che rimanga
un vasto anello di campi coltivati, con gli agricoltori conquistati alla
politica del verde, attori veri e primi del mantenimento e ripristino
ambientale, cintura agraria a cui si deve affiancare una molteplicità
di aree ricreative e sportive.
Sono questi, sostiene il Sindaco Marco Malinverno, alcuni dei principali
obiettivi che il Comune di Peschiera Borromeo, strenuo paladino del Carengione,
perseguirà nel prossimo futuro, sia localmente, sia presso l'Amministrazione
Provinciale e l'Ente Parco Agricolo Sud Milano, come pure altrove, ovunque
sarà necessario, al fine di avere quanto prima un grande bio-parco,
un'oasi naturalistica in piena regola.
Per i cittadini di oggi e le generazioni che verranno, ma altresì
per piante ed animali, inseparabili compagni del nostro vivere quotidiano.
GUIDA AI SENTIERI DEL CARENGIONE
A cura della Associazione "La Quercia Farnia"
DATI NATURALISTICI
La zona di interesse naturalistico è costituita da due nuclei boschivi
situati rispettivamente a nord e a sud della strada vicinale che attraversa
il territorio in direzione est-ovest. Il sentiero natura strutturato all'interno
del bosco permette di ammirare alcuni luoghi molto pittoreschi, di percepire
suoni e profumi della natura, di osservare erbe, arbusti, alberi, interessanti
dal punto di vista naturalistico, utili per le loro proprietà medicinali
e aromatiche.
La parte settentrionale del sentiero ha forma semicircolare e si divide
in due tratti: a est prende il nome di Sentiero del ciliegio silvestre,
a ovest Sentiero del salice bianco; è caratterizzata da fitta vegetazione
e piccole zone umide, che si sono formate per la natura argillosa del
terreno. La parte meridionale si presenta come una lunga striscia verde
circondata da campi coltivati. L'accesso a questa zona è un po'
difficoltoso ma il percorso è assai suggestivo, delimitato sia
da arbusti che da alberi che con le loro chiome formano una pittoresca
volta verde.
SENTIERO DELLA COVA
Deve il suo curioso nome al fatto di essere il luogo preferito da uccelli
di media taglia per nidificare; le covate trovano sicuro riparo nel fitto
sottobosco e tra il groviglio impenetrabile di rovi. Il sentiero inizia
in prossimità della strada vicinale, e attraversa il bosco in direzione
sud, fra siepi di sambuco, sanguinello, biancospino; costeggia un'ampia
depressione, ormai asciutta in ogni periodo dell'anno, vera e propria
galleria naturale di erbe, arbusti, alberi. Il sentiero termina sull'argine
di un piccolo stagno, circondato da canne palustri e brulicante di vita.
SENTIERO DEL CILIEGIO SILVESTRE
Prende il nome da questa essenza arborea abbastanza rara, di cui sono
presenti alcuni esemplari in tutti i percorsi naturalistici del bosco.
Il sentiero inizia in prossimità dell'entrata est e si addentra
nel folto bosco in direzione nord. Piante di tipo comune (pioppo, platano)
si alternano ad altre di particolare valore ambientale (farnia, acero,
sambuco, ontano).
Per tutta la sua lunghezza costeggia una ampia depressione percorribile
per un tratto; in essa è presente un gran numero di giovani preziose
piante, nate ai piedi dei loro anziani genitori; nella parte più
settentrionale la depressione diventa paludosa, e in essa si deposita
e si decompone una grande quantità di resti vegetali e animali.
SENTIERO DELLA GRANDE PALUDE
Ha ricevuto questo altisonante nome per la presenza di una profonda depressione
che lo costeggia quasi per intero dal lato est; in essa l'acqua è
molto variabile: in periodi di magra è il luogo preferito dalle
gallinelle d'acqua.
Alle specie arboree presenti anche sugli altri sentieri, si aggiunge il
nocciolo, pianta ormai piuttosto rara in pianura. In questa zona di bosco,
ricchissima di acqua (il cavo Responsale lo costeggia dal lato ovest),
il sottobosco è oltremodo rigoglioso e abbonda di erbe e arbusti
utili in erboristeria e in cucina.
SENTIERO DEL SALICE BIANCO
Prende il nome dal filare di salici bianchi che lo delimita per un lungo
tratto. Il sentiero inizia in prossimità della entrata ovest e
procede in direzione nord. Il percorso è ampio e attraversa una
parte di bosco non molto fitta. È suggestivo per l'effetto luminoso
che danno le foglie argentate dei salici ad ogni soffio di vento. Vi si
possono notare parecchi esemplari di pioppo bianco e luppolo. Numerosi
tronchi caduti offrono un ottimo substrato a muffe e funghi. In questa
zona il terreno è molto argilloso.
Come raggiungere il Parco
Da Ovest: In fondo a Via Turati, Mezzate, oltre la cascina Cantonazzo
dei Lietti.
Da Sud: Sentiero campestre all'estremità settentrionale di via
Dante, a Bettola, dopo il Centro Giovanile L'Esagono.
Da Est: Strada vicinale Mezzate - Fiorano, che incrocia la via Lombardia
nei pressi del Campo Pratica Golf.
Con i mezzi pubblici: da Milano, il Carengione è raggiungibile
con l'autobus proveniente da San Donato Milanese, fermata Mezzate. Da
est, lungo la Paullese, prendendo i pullman delle Autoguidovie Italiane.
Per visite guidate: contattare l'Associazione La Quercia Farnia - ONLUS,
c/o Baratelli, via Abruzzi 4/D, Peschiera Borromeo (Milano), tel. 027531519,
fax 0270305253, e-mail baratelli@infinito.it
Referenti tecnico-istituzionali del Carengione:
Dottor Giordano Bellotti, Parco Agricolo Sud Milano, viale Piceno 60,
Milano, tel. 0277403274, fax 0277403272.
Architetto Carlo Maria Nizzola, Comune di Peschiera Borromeo, via XXV
Aprile 1, tel. 02516901, fax 0255303197.l
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per gentile
concessione dell'Autore, che ancora una volta ringraziamo sinceramente
Proprietà letteraria e artistica riservata all'Autore
Contributi di Egidio Gavazzi, Novella Ricotti, Associazione "La Quercia
Farnia"
Disegno di copertina: Roberto Leone
Illustrazioni originali: Augusta Frappetta
Fotografie: Maurizio Durelli e Sergio Leondi
© Copyright 2001 by: Comune di Peschiera Borromeo (Milano)
Stampato in Italia - Printed in Italy by :
1ª edizione:
aprile 2001
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