I resti della palafitta di Ledro rividero il sole, dopo migliaia di anni,
nellautunno del 1929, quando il livello del lago fu abbassato per i lavori
di presa della centrale idroelettrica in costruzione a Riva del Garda.
Sulla sponda meridionale del lago affiorò una distesa di pali (oltre
10.000). L'esistenza dei pali, che era attribuita ad un'antica diga costruita
per controllare il livello del lago, invece si dimostrò essere
i resti di una delle più grandi stazioni preistoriche scoperta
fino ad ollora in Italia ed una delle testimonianze più importanti
in Europa. La palafitta fu catalogata fra le stazioni del tardo neolitico
in quanto parte dei reperti appartengono all'età del bronzo.
La notizia mise in rumore il mondo degli archeologi. Furono effettuati
scavi e raccolti numerosi oggetti, fra i quali un tavolato che sembrò
essere un pavimento di una capanna. poi il livello del lago s'innalzò
e l'acqua riprese il tutto. Solo nel 1936-37, in seguito ad una siccità,
le acque subirono un notevole abbassamento e permisero la ripresa dei
lavori che interessarono un'area di 4500 mq. Dopo queste prime ricerche,
riprese anche negli anni '50 e '60, il Museo Tridentino di Scienze Naturali,
allo scopo di reperire materiale da esposizione per il costruendo Museo
delle palafitte, nel 1967 esplorò un settore del villaggio, a suo
tempo franato per l'incoerenza dei sedimenti lacustri. Per la palafitta
di Ledro esplorata in passato, rimangono la rilevanza scientifica degli
eccezionali ritrovamenti ed i meriti dei pionieri che li hanno messi in
luce, con i mezzi ed i sistemi allora disponibili, quando lo scavo stratigrafico
e le metodologie naturalistiche non si erano pienamente affermate.
La palafitta
L'espediente tecnico della palafitta, che sicuramente nel corso del tempo
subì varianti non sostanziali come adattamento ecologico locale,
va interpretato alla luce dei vantaggi che essa offre per la vicinanza
all'acqua: l'agevolezza per la pesca, la sicurezza contro le aggressioni
o molestie degli animali e dell'uomo, ma che, al di là di questi
motivi, può essere anche giustificato da sole ragioni di opportunità
edilizia, in relazione al resto dell'ambiente. Pur dovendo ammettere che
l'impalcato sopraelevato comporta maggiori difficoltà tecniche.
Gli abitanti
L'estrema scarsezza di reperti non permette che limitate interpretazioni
sulla costituzione fisica degli abitanti. Per quanto riguarda la statura
media, facendo un raffronto con gli altri abitanti lacustri di quei tempi,
si presume di cm. 156. Anche nella stazione di Ledro, come è regola
per gli abitanti palafitticoli preistorici, è stata rilevata l'assenza
di inumazioni. Questo fatto fa pensare che i palafitticoli praticassero
il rito di bruciare i propri morti. Le opinioni riguardanti i dati cronologici
della colonizzazione del lago da parte dei palafitticoli sono discordi,
il dato cronologico inferiore, di origine, è collocato fra il 2000
e il 1800 a.C., e quello superiore fra il 1500 e il 1200 a.C.
Ambiente ed alimentazione
I reperti archeologici rilevano una composizione di specie animali e vegetali
non molto dissimile da quella che potrebbe essere l'attuale, in mancanza
dell'intervento modificante dell'uomo. Tra i molluschi sono state trovate
in notevole quantità le valve dell'Anodonta Mutabilis Cless, ostrica
d'acqua dolce. Gli animali domestici di maggiore importanza economica
sono: buoi, capre, pecore e suini, di dimensioni medie rispetto alle faune
dell'età dei metalli. Il cane presente a Ledro si inserisce in
una forma evolutiva intermedia tra l'età della pietra, quella del
ferro e romana. L'orso possiede una variabilità non molto grande
ed una statura media rispetto alle altre faune europee, anche se qualche
reperto indica la presenza di alcuni individui di dimensioni maggiori.
Il cervo, il capriolo, la volpe ed il camoscio non hanno permesso osservazioni
particolari. Il cinghiale è presente con un paio di reperti. Ledro
era un villaggio economicamente autosufficiente, la sua fauna domestica
era sfruttata in modo da soddisfare al massimo i bisogni della popolazione.
La fauna selvatica era appena presente, cacciata e consumata episodicamente
nel villaggio. La fauna domestica era alevata senza particolari precauzioni.
L'allevamento era estensivo, almeno in estate, ed in inverno si poneva
il difficile problema della nutrizione che provocava forse spesso la macellazione
degli animali in età giovane.
Con la sola valutazione dei resti del pasto ritrovati è possibile
tracciare un quadro sufficientemente orientativo dell'alimentazione e
tenore di vita. Tutti gli animali terrestri di cui si è parlato
costituivano fonte di pasto, e molto verosimilmente lo spolpamento delle
loro ossa era integrale. Il midollo osseo e il cervello costituivano un
sostanzioso alimento, come testimoniano le ossa lunghe e i crani costantemente
spezzati. Si è facilmente tentati di pensare ad un intenso sfuttamnto
a scopo alimentare della fauna acquatica, in particolare dei pesci, vista
l'abbondanza di reperti. I pasti vegetali più confermati sono composti
ai pappe alimentari, forse semidense, sicuramente cotte e fatte con verdure,
cereali e spesso anche ghiande. Tracce di queste costture costituiscono
spesso un grosso sedimento sul fondo dei vasi. Sicura fonte di alimento
offrivano i numerosi frutti e bacche coltivati o spontanei: nocciole,
fragole, lamponi, peri selvatici, sambuco, corniolo, etc. I semi di quest'ultimo,
poi, presenti in masse enormi, denunciano un largo consumo di questo frutto
e non è improbabile che, con la fermentazione, dal corniolo si
ricavasse una bevanda alcolica.
Il bronzo
I rinvenimenti di manufatti in bronzo possono ritenersi richhi e vari,
tenendo presente la preziosità del metallo, il suo impiego nella
confezione di oggetti in genere d'uso raffinato e la convenienza e la
facilità del suo impiego in ulteriori fusioni. la relativa scarsezza
di reperti inerenti a tale industria è forse spiegabile con l'inopportunità
che si presentava agli artigiani preistorici di procedere alla fusione
nell'ambito delle capanne, facilmente infiammabili, per cui le officine
vere e proprie erano meglio ambientate sulle rive, più sicure e
più vicine ai rifornimenti di combustibile. Gli strumenti d'uso
più frequentemente trovati durante lo scavo sono le asce ed i magnifici
pugnali a lama triangolare, ornata con fitte impressioni di raffinata
fattura, il manico generalmente composto da anelli bronzei. Gli ornamenti
sono rappresentati da spilloni di varia foggia, alcuni dei quali molto
simili a quelli provenienti dalle palafitte boeme, e fili di bronzo avvolti
a spirale, dalle corone bronzee che venivano portate in testa, probabilmente
come distinzione di rango. Di queste corone, ovunque rarissime, sono noti
finora per Ledro ben quattro esemplari.
Il legno
Per le antiche popolazioni alpine il legno rappresenta la materia d'uso
di primaria importanza. Prescindendo dall'ovvio impiego nella costruzione
delle capanne, palizzate di difesa, etc., il legno, nella cui lavorazione
i palafitticoli rivelano totale padronanza, si è prestato alla
confezione di gran parte degli utensili casalinghi, attrezzi da caccia
e difesa, inbarcazioni, etc. E' legittimo immaginare una varietà
ed una quantità più vasta di quanto possano documentare
i resti reperiti negli scavi. La lavorazione del legno avveniva: o direttamente
mediante il taglio con lama degli oggetti di mole ridotta, oppura con
il predisporre la forma di base avvalendosi del fuoco e successivamante
dando ritocchi finali con strumenti da taglio o abrasivi. I manufatti
più rappresentativi sono ciotole, padelle, taglieri, manici di
problematica interpretazione, che costituivano probabilmente lo strumento
per la confezione dei pasti. Come armi sono interpretate le mazze a testa
sferoidale, oggetti fusiformi che sono descritti come boomerang e archi
di legno. L'impiego del legno in agricoltura è documentata dal
rinvenimento di un aratro, con punta robusta ed asta per il traino. Una
categoria di reperti di rilevante interesse interpretativo è costituita
dalle canoe monoxili.
La pietra
La pietra, scheggiata, levigata o grossolanamente abozzata, ha costituito
insieme al legno la materia d'uso che si prestò a tutte le esigenze
strumentali fin dai primordi dell'umanità. Nella palafitta di Ledro,
che vide il suo pieno fiorire nell'età del bronzo, la permanenza
di un suo uso diffuso ed esteso a vari settori d'impiego, è ovunque
documentata con relativa abbondanza.
La categoria di manufatti maggiormente indicativa, anche se di minuscole
dimensioni, è rappresentata dagli oggetti in selce, che, come è
noto, data la sua durezza e la sua fragilità, non si presta ad
altra lavorazione che non sia la scheggiatura. Troviamo rarissimi pugnali
a foglia di lauro e poche punte di freccia, schegge ritoccate e destinate
a raschiatoi. Le asce sono generalmente di piccole dimensioni con lati
lunghi e curvi e lati brevi e dritti. Solo in un unico esemplare è
stata reperita un'asci tipo "ferro da stiro" con foro per il
manico. In pietra arenaria sono i lisciatoi ed i frammenti riferibili
a forme di fusione per il bronzo ricavati direttamente dalle forme di
massi e ciottoli di rocce cristalline che costituiscono una vicina morena
glaciale. Sono una serie di oggetti di uso assai diffuso le pietre da
focolaio, in genere in granito, pietre per la molatura, usate per ridurre
i cereali in farina, mazze e martelli. A scopo chiaramente ornamentale
sono i grani di ambra che si rinvengono con una certa freqienza nel deposito.
Sulla loro provenienza non si può asserire nulla, si può
però sostenere l'ipotesi che li vedrebbe inseriti in quel flusso
di scambi commerciali con palafitticoli boemi, dedotto da molteplici indizi.
Strumenti in osso e corno
Molteplici servizi offrivano gli strumenti costituiti dell'ossame e dalle
corna degli animali. Dai tarsi e dai cubiti di varie specie animali si
ricavavano punteruoli e pugnali, oltre che spatolette, aghi da cucito,
cerchietti ornamentali, fibie, salvapolso per l'uso dell'arco, etc. In
vario modo erano usate le corna dei cervi, la cui relativa abbondanza
non stupisce se pensiamo alla loro caducità annua, esse costituivano
martelli o percussori, oppure potevano accogliere strumenti in metallo.
Se forate si adattavano ai manici di legno. I ramilaterali, inoltre, potevano
costituire uno strumento per modellare la ceramica. Sempre di corno cervino
due eleganti pettini da tessitura. Il corno di capriolo, animale che dai
reperti risulta più raro del cervo, non trova analoghi usi se non
in forma limitata.
La tessitura
Pesi da telaio in notevole abbondanza, fusaiole talora ornate con impressioni
puntiformi, pettini da telaio in corno di cervo, aghi in osso, oltre a
lembi di stoffa sono la documentazione materiale di questa attività.
La stoffa veniva tessuta con filo di puro lino e si presenta: ora a trama
piuttosto serrata, ora più larga. Fu reperita in brandelli, in
rettangolini soprapposti che denunciano l'uso di ripiegarla, ed in strisce
arrotolate, una delle quali costituisce una vera e propria cintura. L'interesse
maggiore di questo rinvenimento, probabilmente unico, è costituito
dal fatto che la trama si intesse ai due bordi con l'ordito senza soluzione
di continuità, il che presuppone l'uso di un telaio di ridotte
dimensioni. Niente ci vieta di immaginare, anche se non ne abbiamo alcuna
prova, che i prodotii tessili destinati al vestiario siano stati colorati
con sostanze vegetali, come è costume antichissimo. Vale la pena
di aggiungere che l'assenza di filati di lana è ascrivibile alla
facile decomposizione di tale sostanza.
La ceramica
La varietà e la quantità di manufatti ceramici a Ledro è
veramente enorme ed il tipo, la forma e le dimensioni svariatissime. L'impasto,
generalmente grossolano e smagrato con vari additivi minerali, si presenta
spesso fine, ben levigato e lucido. Il colore è monotonamente nero
o scuro, brunastro o rossiccio, quando non sia impallidito per sovracottura
a causa di incendio. Le dimensioni sono molto varie. Una valutazione colloca
al primo posto come frequenza i grandi orci tronco-conici da derrate alimentari,
con decorazione costituita quasi di regola da cordoni realizzati e ricavati
dallo spessore del vaso, o applicate, che spesso abbracciano o circandano
a spirale il corpo del recipiente e denotano un gusto estetico ancora
attuale. Molto presenti sono poi gli svariati tipi di boccali, ciotole
e piccole tazze, che spesso si rinvengono integre grazie al loro piccolo
ingombro. Pure in terracotta sono, in ordine di frequenza di reperimento:
pesi da telaio, fusaiole, rocchetti, mestoloni per il trattamento del
bronzo fuso, piatti con bordo appena alzato, "zuffoli" usati
come soffioni per il fuoco, dischetti rotondeggianti il cui uso può
essere quello di pegni per giochi, e i cosiddetti "oggetti enigmatici",
piccoli segmenti rettangolari con segnature e punteggiature impresse prima
della cottura. A puro titolo di curiosità si può citare
il diffusissimo uso di un legante adatto a stagnare od aggiustare i recipienti
in terracotta, anche per rotture che fendono tutto il loro corpo. Si tratta
dello stesso materiale usato per fissare strumenti di selce in impugnature
lignee, od ornamenti a vari supporti. Varie piccole formelle di tale collante,
con forma che ricorda quella dello strobilo di abete, sono state reperite
negli strati, ed un'analisi delle stesse le vorrebbe composte di gomma
di tabarinto commista a qualche macinato indeterminabile.
|
|
|