La Rocca è un "episodio" urbano di particolare rilievo
nella storia cittadina in quanto testimonia il dominio esercitato da Perugia
sull'antica Castel della Pieve.
L'edificio militare è collocato nella parte più alta dell'abitato,
in prossimità della Porta del Prato o Perugina, evidenziando così
la possibilità di diretto controllo sulla città e assicurando
nello stesso tempo alle milizie del "Grifo" la più ampia
libertà di manovra.
La Rocca segna quindi la definitiva sottomissione a Perugia di Castel
della Pieve che, per affermare le proprie libertà comunali nei
confronti della città guelfa, gravitava pervicacemente nell'orbita
ghibellina. A dimostrazione della fedeltà pievese all'Aquila imperiale
si dovrà citare il primo atto di sottomissione del 3 dicembre 1188,
nel quale si dichiara che Castel della Pieve deve concorrere a tutte le
azioni militari intraprese da Perugia, eccetto contro l'Imperatore Federico
ed il Re Enrico; non si cita curiosamente il Papa.
Nel 1250, a seguito della morte di Federico II di Svevia, Castel della
Pieve viene punita da Perugia: era già pronto un esercito comandato
dal Podestà Raniero di Bulgarello "ad depopulationem faciendam
de Castro Plebis", quando Peppone di Giovanni d'Alberto si recò,
come portavoce del popolo pievese, all'accampamento perugino a rinnovare
la sottomissione e a scongiurare l'eccidio.
Si volle tuttavia lo spettacolo e fu scelto a teatro Ripavecchia.
"Sopra alti seggi presso la tenda del podestà sedevano circondati
dai diversi magnati e dalle schiere dell'esercito i vescovi di Perugia
e di Chiusi, il preposto di S. Mustiola, l'arciprete di Perugia, e fra
quelli degli altri comuni brillava per vesti splendide e varietà
di colori, l'arciprete di Corciano. Avanti al grave consesso fu introdotto…
il procuratore Peppone, il quale, dopo aver udito a capo chino i rimbrotti
del podestà, giurò, toccando genuflesso gli Evangeli su
le ginocchia del nostro vescovo Beneaudito, fede ed ubbidienza a Perugia".
Il giuramento fu ripetuto solennemente il giorno seguente da 138 pievesi.
Erano presenti tutte le classi di cittadini, tutte le "Societates":
"Consules Societatis Aquilae de Burgo Intrinseco", "Consules
Societatis Veteris de Casalino", "Consules Societatis Veteris
de Castello", "Consules Societatis Cardonum", "Consules
Societatis Ferrantis", "Consules Societatis Mercatorum".
Come punizione si stabilì "che portassero a Perugia tanto
lavoro, quanto fosse stato per mattonare quella parte della piazza (Piazza
del Comune), che far si doveva".
Fu proprio da questo momento che Perugia iniziò a pavimentare la
strade all'uso "senese" di Castel della Pieve: una rivincita
sul piano culturale della città sottomessa che viveva proprio in
questi anni il suo pressochè definitivo sviluppo urbano.
Sullo scorcio del sec. XIII, Castel della Pieve diventa sempre più
importante per la difesa di Perugia contro la nemica Repubblica di Siena,
caposaldo della potenza ghibellina nell'Italia Centrale, e per il controllo
sui territori tra il Lago di Chiusi ed il Trasimeno, il cosiddetto "Chiugi",
vero e proprio granaio della città del Grifo. Infatti nel 1293
"fu ordinato dalli suddetti Magistrati, che si tirasse à fine
la Roccha, che si faceva nel territorio del Chiugi Perugino non lungi
dalla Chiane su la costa hoggi chiamata di Beccatiquello, e fu ordinato
che la comunità di Castel della Pieve ne prendesse cura, e che
da Signori Consoli di Perugia le si somministrassero li danari secondo
il bisogno".
Nel 1296 inoltre si era cominciato a costruire la strada tra Perugia e
Castel della Pieve, la cosiddetta "Pievaiola". Ma mano che si
fa più presente l'ingerenza di Perugia negli affari interni della
città, si susseguono numerose ribellioni. Nel 1301 i pievesi avevano
cacciato il Podestà Giovanni Baglioni e i perugini dovettero intervenire
con la forza per rimetterlo nelle sue funzioni. Un tale Bartolo D'Oddo
si era poi unito ad altri ribelli della Valdichiana per sottrarre Castel
della Pieve al dominio perugino, ma l'impresa fallì.
Lo storico Pompeo Pellini, a proposito di questo episodio riferisce una
frase significativa: "Et n'habbiamo fatta memoria affinchè
si conosca quanto gli huomini di quella Terra siano naturalmente cupidi
di cose nuove, i quali poco contenti dello stato loro, hanno spesso mutato
governi, non solamente in quei tempi, ma etiandio né giorni nostri".
Nel 1304 si registrava una nuova sollevazione per il fatto che era stato
nominato Podestà un popolano invece che un nobile . Nel 1310, Perugia
decide che i Priori di Castel della Pieve "dovessero per poter meglio,
e più diligentemente attendere alle cose loro pubbliche, dimorare
tutti insieme in una medesima casa". Si edificò così
il Palazzo dei Priori, di fronte alla Torre Civica e alla Pieve.
Nel 1311 "perché in Castel della Pieve si facevano ad ogn'hora
falli di non poca importanza, e gli huomini della terra non abbedivano
molto al Podestà, che per la città di Perugia vi si teneva,
i Magistrati nostri per rimediare à disordini, e al inhonesto vivere
di quel popolo, vi mandarono… Guido Marchese del Monte di S. Maria,
con un buon numero di soldati, affichè con la sua autorità,
e prudéza raffrenasse l'audacia, e insolenza di quel popolo come
fece".
Nel 1312, nuova ribellione per non sottostare ai "datij, colte, e
tutte le imposizioni" decise da Perugia. Nel 1320 la città
dominante decreta Castel della Pieve suo principale membro. S'impone la
nomina di governatori nobili e di parte guelfa. Sono quindi corretti gli
Statuti all'uso di Perugia e, per troncare le pericolose infiltrazioni
ghibelline, si proibisce a Notto Salimbeni di Siena di poter abitare a
Castel della Pieve. Ma il partito filoimperiale si era via via rafforzato
e nel 1325 scacciava il Podestà e insieme la parte guelfa. Perugia
invia sollecitamente Messer Pannocchio, Capitano del Popolo, a domare
l'irrequieto Castello.
Nel 1326 i Guelfi rientrano, scacciando i Ghibellini che si rifugiano
a Chiusi: "I Perugini temendo, che dimorando quei Ghibellini di Castel
della Pieve in Chiugi, non divenisse in poter di parte Imperiale Ghibellina
quella città, armato un buon essercito, se ne andarono a quella
volta, e ivi senza molto contrasto entrati, cacciarono i Ghibellini della
Pieve fuori, e s'impadronirono della città, ma non della fortezza,
percioche dentro v'era un valoroso Castellano da Orvieto, che per la patria
sua la ritenne, e la città tutta in mano de' Perugini restò".
L'episodio di Chiusi, di estrema gravità per il pericolo ghibellino
nei confronti di Perugia, insegna alla città dominante l'importanza
di avere a disposizione una rocca che anche in caso di aggressione proveniente
dall'esterno o dall'interno della struttura urbana, potesse restare sotto
il suo diretto controllo. I Magistrati perugini, nello stesso anno, elessero
Podestà Becello de' Baglioni "e' gli fu ordinato, che vi facesse
fare la rocca". La costruzione fu affrettata anche per i gravi tumulti
scoppiati nel 1327 tra la fazione guelfa e quella ghibellina. A questo
proposito possiamo notare come il Pellini, che pur riferisce al 1326 l'edificazione
della Rocca, ponga al 1306 l'anno di decisione della costruzione. E' probabile
che i lavori siano iniziati a distanza di tempo dalla deliberazione o
che lo storico perugino abbia confuso le date 1306 e 1326. Il Bonazzi
inspiegabilmente data la fortezza intorno al 1310.
Nel bando per la costruzione della Rocca del 18 dicembre 1326, con spesa
di 4.750 fiorini, si decide di collocare l'edificio in relazione a due
punti ben precisi della cintura muraria: viene individuato lo spazio dal
"cantone del Frontone", che si trova "sopra le fonte che
sonno ella strada che viene a Peroscia a la porta del Prato", cioè
quel punto in cui le mura si incurvano proprio di fronte alle fonti della
"Venella", fino all'antica "Porta del Prato", la porta
in comunicazione con Perugia.
Si stabilisce di costruire in tutto cinque torri. Lo spazio previsto è
delimitato da un fosso di 170 piedi dal lato delle mura, così ugualmente
dal lato interno della città che guarda il Borgo Dentro e di 115
piedi dalla parte della Porta del Prato. Si è constatato che la
Rocca attuale è stata realizzata pressochè secondo lo schema
stabilito nel bando sopracitato. Da una verifica tra le misure che compaiono
nel documento e quelle attuali si è potuto osservare che il "piede"
considerato è circa cm.36,6. All'interno quindi della delimitazione
di un fosso provvisto di steccato, si costruisce un edificio con pianta
a forma di un triangolo isoscele con un lato di circa 170 piedi (m.63)
dal punto A allo spigolo della Torre situata sopra la Porta del Prato,
con l'altro lato di circa 165 piedi (m.60) dalla parte del Borgo Dentro,
con una base di circa 75 piedi (m.27). Il lato che da sulle mura è
ovviamente più lungo per la preesistenza della curvatura della
cinta muraria.
Nel documento sono ricorrenti misure divisibili per il numero 5. Cinque
piedi è quindi il modulo della costruzione: si doveva infatti edificare
in un triangolo un insieme di cinque torri. Si può leggere, nella
forma della pianta, il numero 5 in funzione antropomorfica, cioè
simbolica della figura umana, secondo principi tipici della immaginazione
medievale. Le cinque torri corrispondono alle estremità dell'uomo
(la testa, le mani, i piedi). Sulla base di questo triangolo si ipotizzano
due torri e un muro di collegamento secondo principi proporzionali per
cui 15 piedi è la misura del lato della Torre sopra la Porta del
Prato, 20 piedi quello della Torre del castellano, 40 piedi (il doppio
di quest'ultima) il muro di collegamento. Dalla parte delle mura si considerano
i 15 piedi della Torre sopra la Porta del Prato, 50 piedi (40 + 10) del
muro di collegamento con la Torre Maestra che avrà la stessa larghezza
della Torre del Castellano, vale a dire 20 piedi. La distanza tra gli
spigoli esterni della Torre del Prato e della "Maestra" è
di 85 piedi. Questa stessa misura viene riportata fino al punto A, dal
quale si origina la Torre del Frontone. La Torre del Frontone, fortemente
indirizzata verso est in direzione di Perugia, presenta una larghezza
di 20 piedi. Sul lato del Borgo Dentro si nota, con circa 5 piedi in meno,
la stessa proporzionale.
Solo quindi tre torri su cinque rivestono particolare importanza e presentano
le stesse misure anche nell'altezza (60 piedi) e nello spessore dei muri
(5 piedi): la Torre del Frontone, la Torre Maestra, la Torre del Castellano.
Il "Frontone" è munito di ponte levatoio per l'entrata
e l'uscita delle truppe perugine: ancora oggi è infatti visibile
una grande porta tamponata. E' la torre più importante per ovvi
motivi strategici e per questo è la prima ad essere citata nel
documento. Anche la Torre del Castellano è dotata di un ponte levatoio
in quanto deve assicurare l'entrata e l'uscita delle milizie della città;
funge inoltre da controllo sull'abitato. La Torre Maestra, situata fra
quella del Frontone e quella del castellano assolve sia la funzione di
collegamento tra le due, come d'avvistamento sull'esterno delle mura.
Le altre due torri non hanno nome e misurano 15 piedi per lato, 50 d'altezza:
la torre d'angolo nei pressi della porta del Prato e la torre dalla parte
del Borgo Didentro. La prima che chiameremo del Prato stava a controllo
della Porta omonima, la torre verso il Borgo Didentro rafforzava la Torre
del Castellano nelle sue funzioni di controllo interno. E' prevista inoltre
una piazza interna di 50 piedi per 30 con due "casamenti" per
le truppe, come anche una cisterna per l'approvvigionamento idrico. Ma
ritorniamo alla forma della pianta. Il triangolo, i cui lati sono ottenuti
moltiplicando la base per due e aggiungendo dal lato delle mura il valore
di 15 fino al punto A, dalla parte del Borgo Didentro il valore 20 fino
al punto A (cioè i moduli dei lati delle torri) è divisibile
in due figure geometriche che presentano ciascuna due lati di uguale misura:
un triangolo e un trapezio con due lati di 85 piedi.
Si evidenzia quindi uno studio compositivo che tende ad assimilare forme
geometriche diverse: il trapezio che dall'esterno può dare l'idea
di un quadrato o di un rettangolo, così ugualmente tutto il triangolo
che può essere letto come doppio quadrato o come grande rettangolo.
Ovviamente una struttura militare divisa in due corpi offriva maggiori
garanzie difensive. Questa raffinata concezione planimetrica del triangolo
trova riscontro in quelle forme cuspidate che ci rimandano alle realizzazioni
della cattedrali gotiche: è come disporre in piano un disegno progettato
per un alzato. Inoltre l'effetto prospettico costituito da una graduale
rastremazione dei lati perimetrali a partire dal primo piano, ci rimanda
all'ideazione di un architetto, certamente esperto di costruzioni militari,
ma nello stesso tempo sensibile a ricerche "ottico-prospettiche"
di ambito tipicamente gotico.
Per il momento non è stato possibile trovare il nome di un architetto,
ma nel documento sui lavori commissionati nel 1471, è citato un
certo "Bartuoso" esperto di murature che era intervenuto nella
Rocca precedentemente. C'è sembrato di identificare il nome in
quel "Bartutio" o "Bartho" o meglio Bartuccio di Rusticello
che in qualità di tagliapietre è presente dal 1322 al 1337
nel cantiere della Cattedrale orvietana. Bartuccio doveva essere quindi
sotto la direzione di Lorenzo Maitani, l'architetto senese che da circa
il 1310 al 1330, anno della sua morte, conduceva i lavori, già
avviati nel secolo precednte. Infatti la "fabbrica" prodigiosa
era iniziata sotto la "soprintendenza" del benedettino Fra'
Bevignate che aveva ricoperto la stessa carica a Perugia venendo a contatto
con personalità massime dell'arte italiana come Arnolfo di cambio,
Nicola e Giovanni Pisano.
Si mise in opera un progetto arnolfiano, ma ci si trovò dinanzi
al problema di come realizzare la facciata: Lorenzo Maitani "universalis
caput magister" nel 1310 ruppe con gli interventi precedenti realizzando
una facciata che doveva mirabilmente conciliare le arditezze pinnacolari
del gotico di Francia, espresse dal progetto troppo francesizzante di
quel Ramo di Paganello già esule a Parigi, con la misura d'uomo
della tradizione italiana.
Ma questo architetto doveva essere esperto anche in fortificazioni come
compare nei documenti per la realizzazione della Rocca di Montefalco:
"multum reputatur expertus et sufficiens et singularis in arte sua".
Il senese infatti nel 1323 e nel 1324 viene chiamato da Orvieto perché
dia la sua consulenza: lo accompagna frate Egidio di Assisi, dirigono
i lavori due frati minori di Foligno. Probabilmente il Maitani, più
che come vero e proprio architetto, si configurava come perfetto organizzatore
di cantieri, come colui che poteva dispensare pareri e consigli, avvalendosi
della collaborazione di esperti.
Il comune di Perugia aveva utilizzato il Maitani anche per la costruzione
di acquedotti e nel 1325 lo aveva chiamato per le fortificazioni di Castiglione
del Lago. Qui, oltre che sulle porte e sulla cinta muraria della città,
intervenne sulla fortezza, che già esisteva precedentemente. La
Rocca di Castiglione presenta una forma pentagonale irregolare, data anche
la conformazione del promontorio, con cinque torri di cui quella verso
la città triangolare. La forma geometrica complessiva è
data da un trapezio e da un triangolo. Appare evidente che questa planimetria
costituisce una premessa per la Rocca di Castel della Pieve: quest'ultima
presenta una forma più regolare, più compatta. Il recinto
della nostra rocca è più ristretto in quanto doveva alloggiare
un piccolo presidio militare a controllo di una città ostile, quello
di Castiglione è un vero e proprio "contenitore" di truppe.
Non è stato possibile in questa sede verificare fino a che punto
il Maitani sia intervenuto sulla Rocca di Castiglione: resta comunque
il fatto che la nostra si ispira a quella. E' probabile quindi che Lorenzo
Maitani nel suo viaggio tra Orvieto e Castiglione del Lago abbia fatto
sosta a Castel della Pieve e abbia dato qualche "consiglio",
lasciando come capocantiere Bartuccio di Rustichello, impegnato come tagliapietre
nel vicino Monte Cetona, allora chiamato Monte Piesi.
Il Comune di Perugia in questi anni avrà voluto considerare, in
un territorio così importante per la sua sicurezza, un intervento
complessivo tra Castel della Pieve e Castiglione del Lago. La fortezza
di Castiglione doveva controllare i territori del Chiugi e il nemico ghibellino
a nord (Cortona e Arezzo), quella di Castel della Pieve la città
stessa ed i confini senesi. Le due rocche sono infatti in stretto collegamento
a vista. Le abitazioni costruite intorno al 1920 a lato del Largo della
Vittoria ci impediscono di considerare oggigiorno la diretta visuale tra
la nostra rocca e quella di Castiglione del Lago. Così ugualmente
tali costruzioni impediscono di osservare il diretto collegamento esistente
tra la Rocca e la poderosa Torre del Vescovo situata sulla cinta muraria,
verso Porta Sant'Agostino.
Con la Rocca, probabilmente ideata dall'architetto senese, si definiva
l'immagine medievale del tessuto urbano della città. Doveva essere
l'edificio emergente di un centro la cui urbanistica e i cui elementi
architettonici richiamano Siena, basta vedere l'esemplificazione derivata
dalla Cattedrale senese sulla vicina facciata del San Francesco!.
Nella forma triangolare della Rocca si doveva poi alludere alla tripartizione
della città, i tre Terzieri, secondo principi analoghi a quelli
del cortonese Frate Elia che aveva riaffermato, circa 80 anni prima, le
origini etrusche di Cortona e dei Centri della Valdichiana. E come riferivano
gli autori classici, le città etrusche dovevano avere almeno tre
templi, tre strade, tre porte.
Una fortificazione come questa doveva costituire un esempio per il Gattaponi,
oltre ai castelli federiciani di Augusta e Lagopesole, quando a Spoleto
nel 1362 inaugura la serie della rocche "albornoziane". L'impianto
della Rocca di Spoleto, concepito esternamente unitario (a forma di grande
rettangolo) e bipartito all'interno, doveva trovare un precedente nella
Rocca di Castel della Pieve. Gattaponi però riprende il discorso
lasciato ad Orvieto da Arnolfo di Cambio, portando avanti uno stile prerinascimentale
e lasciando alle spalle le suggestioni delle eleganze gotiche che caratterizzano
il Maitani. Il "classicismo" del Gattaponi arrivò fino
a Bologna, nel Collegio di Spagna, dove si formerà quel Fioravante
Fioravanti, tra i primi e numerosi architetti nordici che verranno in
Umbria nel secolo XV, come il lombardo Gasparino d'Antonio che opererà
nella Rocca nel 1474.
Si può quindi affermare che le fortezze di Castiglione, Città
della Pieve, Spoleto, della quale probabilmente la nostra costituisce
il tramite, sono gli esempi basilari per l'arte delle fortificazioni in
Umbria tra i secoli XIV e XV. Ritorniamo alle vicende storiche di Castel
della Pieve. Nel 1342 Perugia impone nuovi statuti specialmente per quanto
riguarda l'elezione del Podestà e le sue ampie attribuzioni nell'amministrazione
interna della Comunità. Come afferma il Briganti, per nessun altro
Castello soggetto a Perugia vi erano dei provvedimenti così minutamente
esposti. La costruzione della Rocca doveva quindi aver rassicurato ancora
di più Perugia nell'esercizio del suo potere. Nel 1389 l'uccisione
di un guelfo provoca nel Castello una sollevazione generale contro i ghibellini
che vengono tutti cacciati fuori.
La Rocca avrebbe attirato sullo scorcio del sec. XIV la presenza di capitani
di Ventura. Biordo Michelotti, ultimo regurgito della parte popolare contro
la nobiltà perugina aveva stabilito il comando in Castel della
Pieve, guidando la rivolta contro Perugia. I pievesi non volendo più
sottostare alla città del Grifo si erano ribellati nuovamente assalendo
la Rocca con l'aiuto di Conte della Pieve. Questi fatti provocheranno
nel 1403 l'interdetto di Bonifacio IX contro la città. Poco tempo
dopo, la Rocca favoriva il potere di un altro famoso Capitano di ventura,
Braccio Fortebraccio da Montone, il quale nel 1422 inviò in Castel
della Pieve, affidatagli da Martino V come suo personale possedimento,
il cognato Cherubino della Staffa, in qualità di governatore.
Ma nel 1424, i pievesi, a seguito della morte di Braccio, non vollero
più stare sotto il governo di Cherubino e mandarono ambasciatori
ai magistrati perugini per risottomettersi alla loro autorità.
Si concedeva di eleggere Priori, Cancellieri e Camerlenghi, Perugia mandava
il Podestà ed il Castellano. Finalmente Cheruibino della Staffa
restituisce nel 1425 al Papa la Rocca di Castel della Pieve, ma vuole
essere indennizzato per il tempo del suo governo. Il che avvenne nel 1431:
"Che a Carobino della Staffa fosse continuata la provisione delli
150 fiorini l'anno, che se gli davano dalla Camera Apostolica per la restituzione,
ch'egli prontamente havea fatto della Rocca di castel della Pieve à
Ministri suoi".
Nel 1457, temendo i senesi, Perugia interviene prontamente per riparare
le fortificazioni lungo le Chiane e la Rocca di Castel della Pieve. Successivamente
nel 1464, a causa di controversie tra il Castellano della Rocca e i pievesi,
Perugia decise di fare nuove costituzioni e riformare le vecchie. Non
era lecito a nessuno di portare insegne, colori e quant'altro che potesse
richiamare le fazioni, al fine di evitare tumulti. Nel 1469 fu mandato
Baldassarre di Polidoro Baglione perché avesse a dare ordini ad
alcune cose "opportune" alla Rocca come far rispettare i capitoli.
Nel 1471 i pievesi assalgono il Palazzo del Podestà, impedendogli
le sue funzioni, successivamente, riportato l'ordine, Perugia costringe
Castel della Pieve a nuovi patti ai quali si aggiunge il rinnovato impegno
di non portare insegne di partito, come di non indossare divise di gentiluomini
perugini, di non portare armi e di non lanciare grida di evviva e di abbasso.
La Comunità inoltre, con il consenso del Podestà e del Consiglio
di Credenza, può rimettere qualunque condannato in denari per qualsivoglia
somma con l'obbligo di adoperare l'introito per i restauri da effettuarsi
alle mura. I Priori della Arti del Comune di Perugia decidono quindi di
dare a cottimo per 700 fiorini al Maestro Polidoro di Stefano, architetto
perugino, i lavori di riparazione della Rocca di Castel della Pieve. L'architetto
godeva di una certa stima, se era impegnato in quegli anni a Perugia a
realizzare la Porta San Pietro, ideata da quell'Agostino di Duccio diffusore
della novità rinascimentali fiorentine.
Anche in questo progetto come in quello del 1326, viene privilegiata la
parte della Rocca che serviva all'entrata e all'uscita delle truppe. La
Torre del Frontone è chiamata "succurso vechio": si devono
rifare i muri e l'arco. Sopra di questa, dovrà essere edificata
la Torre del Soccorso, che è quella che aggetta nel punto di congiunzione
con le mura, lungo la cortina dalla parte del Borgo Didentro. Osservando
le murature esistenti, la torre, probabilmente abbattuta nel secolo XVI
o XVII, doveva essere posta con gli spigoli direzionati verso i punti
cardinali. Si alzano tutti i muri di cinta. Viene inoltre realizzato un
camminamento tra la Torre del Castellano e la Torre del Soccorso perché
il Castellano non debba scendere nel cortile della Rocca. Si alza la Torre
del Castellano di 15 piedi. Viene rifatta la torre "che fè
abbassare Bartuso fino al piano del muro". Questa torre è
quella che si trova sotto quella del Castellano verso il Borgo Dentro,
tagliata all'altezza della facciata laterale: c'era evidentemente in questo
momento meno paura degli attacchi dei pievesi, il pericolo veniva da fuori.
Viene realizzato il coronamento difensivo delle torri e delle cortine:
merli, caditoie o piombatoie, beccatelli.
La Rocca inoltre viene munita di balestrieri e di bombardiere, feritoie
per il tiro della balestra e per le bocche della bombarde. Si cita anche
un rivellino, speciale difesa a V o a mezzaluna destinata ad ostacolare
il tiro e collocata a difesa della Porta del Prato e del fossato, di fronte
alla facciata del San Francesco.
Nel 1474 troviamo documenti di pagamento per il famoso architetto Gasparino
d'Antonio e per tre muratori lombardi per alcuni lavori alla Rocca. L'importo
è di 50 fiorini a favore di Gasparino, di 40 per i tre muratori.
Il Canuti riporta un documento sui lavori commissionati all'architetto
lombardo: interventi alla Torre Maestra, rifacimenti di bombardiere, ballatoi,
parapetti e merli su tutte le facciate. Lo studioso cita inoltre la Torre
Serpentina, individuandola erroneamente in quella Maestra, probabilmente
suggestionato da un termine che allude all'altezza. Invece crediamo che
si tratti di quella d'angolo sopra la Porta del Prato. Comunque per non
generare confusioni, chiameremo quest'ultima Torre del Prato. Probabilmente,
dato l'esiguo compenso rispetto ai lavori di Polidoro di Stefano, Gasparino
d'Antonio, avrà affrontato la parte più decorativa del lavoro.
Infatti questo architetto di grido nella Perugia del tempo stava elaborando
uno stile che conciliava il gusto disegnativo del Rinascimento toscano
con l'esuberanza decorativa della tradizione lombarda, come si può
vedere nel Palazzo del Capitano del Popolo e nell'attiguo Studio di Perugia
nell'attuale Piazza Matteotti. Gli interventi tra il 1471 e il 1474 avvengono
in una situazione politica particolarmente tesa.
Nel 1473 il frate tedesco Winterio rubava l'Anello della Madonna che si
venerava a Chiusi, portandolo a Perugia: si minacciò la guerra
tra Siena e la città umbra. Si rinforzarono dappertutto le difese
sui confini "Et perché si temette di qualche subita correria
di Sanesi, fu dato ordine dal Magistrato seguente, di cui fu Capo Rustico
di saracino Montemelini, che nella Rocca di Castel della Pieve, e di Beccatiquelli
si rinforzassero le guardie". Per maggior sicurezza non potevano
essere accettati a Castel della Pieve né confinati né ribelli
se non dietro concessione del Magistrato perugino. Inoltre "Et mandò
per Commissario a Castel della Pieve per li sospetti, che tuttavia si
havevano dè Sanesi, Neri di Guido Montespertoli, con facultà
di potere ordinare, e provedere a tutto quello, che fosse opportuno alla
conservatione di quella terra, e della Rocca, l'una, e l'altra della quali
dicevano haver bisogno di reparatione intorno alle mura".
Nel 1488 scoppia un'aspra lotta tra le varie famiglie perugine: i Baglioni,
gli Oddi, i della Corgna. Castel della Pieve dovette subire saccheggi,
devastazioni e la perdita della Torre Beccatiquello da parte di Guido
Cesare della Staffa, recuperata poi da Ranuccio Farnese e Camillo Vitelli.
Gli uomini del Castello approfittano dello scompiglio per occupare la
Rocca, scacciando la guarnigione perugina. Successivamente, a pace rinnovata,
i commercianti pievesi possono vendere il prezioso "panno cremisi"
nella città dominante, dietro solenne promessa di non ribellarsi
in futuro. La decisone di Perugia di abbattere il protezionismo coincide
anche con una grave crisi del sistema produttivo della città, soprattutto
nel settore laniero. Già infatti a partire dal 1436, il Comune
di Perugia intende facilitare ogni forestiero che voglia esercitare nella
città l'attività laniera o quella della tintoria. Certamente
i pievesi dovevano essere tra i più ricercati per la loro produzione
di altissima qualità, se il Comune di Perugia chiamava nel 1463
quel maestro Bartolomeo da Castel della Pieve "ad tingendum setas
et siricos de omnibus coloribus… et maxime de coloribus grane et
cremosini".
Con l'inizio del secolo XVI, nel 1503, la Rocca è teatro di una
tragica vicenda ad opera del Valentino, come ci riferisce il Maturanzio
nelle sue Cronache: "El Duca passò in quel di Siena, lascindo
Castel della Pieve tutta robbata e saccomannata, in modo che ad alcuna
casa non se ne potevano serrare le porte né finestre, e avevano
bruciate in sino a li terrate, in modo che tutte parevano casaline. Et
prima che partisse fece morire nella Rocca del detto luogo el Signor Paolo
Ursino e el Duca de Gravina". Cesare Borgia, in attesa di passare
le Chiane, per invadere la Repubblica di Siena, aveva eletto come sua
dimora la Rocca di Castel della Pieve, e aveva punito la città
per la sua annosa guerra contro Orvieto, alleata del Duca, in merito al
possesso dei castelli di Salci, Fabro, Monteleone, Montegabbione. Nella
Rocca fu probabilmente presente Nicolò Machiavelli, il Segretario
della Repubblica di Firenze in "legazione" presso il Valentino,
come ci attestano le due lettere del 13 e del 21 Gennaio del 1503. Lo
scrittore del "Principe" dovette essere quindi quasi testimone
oculare della sommaria esecuzione dell'Orsini e del Gravina avvenuta il
18 Gennaio.
Nel 1525 Castel della Pieve è l'epicentro di una sanguinosa rivolta
di contadini contro il governo di Perugia che si estende a tutto il contado:
si esprimeva il malessere per l'imposizione del focatico e per l'esosità
dei gravami fiscali voluti dal potere oligarchico della città dominante.
La Rocca dovette essere protagonista di una vicenda particolarmente drammatica
nel 1527, anno del "Sacco di Roma" ad opera delle truppe di
Carlo V: cadde la Città Eterna e sembrò che cadesse il mondo.
Una colonna di soldati francesi veniva per la via di Castel della Pieve
in soccorso del Papa. I pievesi si rifiutarono di concedere vettovaglie,
uccidendo anche un loro capo. Ci fu la rappresaglia: "Addì
7 di maggio di martedì la gente Francese, della quale ne era capo
il Marchese di Saluzzo, entrarono per forza in Castel della Pieve e quella
misero a sacco, etiam ammazzarono settecentotrentasei persone, secondo
la lista venuta al Vicelegato, menatosi le donne, e messo ogni cosa a
bottino, cosa che li Turchi non avrebbono fatto di peggio; e queste sono
le genti che dicono essere amici e soldati del Papa". In questa occasione
furono distrutte parti della cinta muraria e probabilmente anche la Rocca
ne ebbe a soffrire. Il "fattaccio" va interpretato come adesione
alla Repubblica senese che stava dalla parte degli Imperiali. E Francesco
Guicciardini lo conferma in una sua lettera: "Castel della Pieve
si è data a Senesi e… loro vi hanno messo drento gente".
Sono proprio i senesi che soccorrono la città regalando venti mogge
di grano "per l'antica benevolenza, e la paternale affezione, qual
sempre questa Repubblica ebbe verso codesta Comunità" e ancora,
aggiungeva il magistrato, "sempre vi amiamo più che mai da
buoni e dilettissimi figli": è l'ultimo saluto ai pievesi
dell'amata e ormai agonizzante Repubblica senese.
Con i fatti del 1525 e del 1527 Perugia e Siena non conteranno più
molto nelle vicende della città: Roma entra definitivamente sulla
scena. Nel 1529 infatti Papa Clemente VII de' Medici toglie Castel della
Pieve dalla Legazione di Perugia e la sottomette direttamente al potere
centrale. Ai Podestà si sostituirono i Governatori Perpetui di
nomina papale che furono sempre Cardinali o nipoti di Pontefici. La Rocca
perse le sue funzioni difensive, divenne dimora dei nuovi Magistrati e
dei loro rappresentanti, i Luogotenenti. Si privilegiò così
il fronte dell'edificio e venne dimenticato il retro che ormai non serviva:
non era più la Rocca perugina. La fortificazione inoltre era diventata
uno strumento difensivo quasi inutile da quando nel 1494 Carlo VIII di
Francia era sceso in Italia, terrorizzando la Penisola con le artiglierie
d'assedio mobili che misero fuori gioco tutte le fortificazioni tradizionali
come la nostra.
A seguito della nuova strategia militare era necessario abbattere tutte
le cortine e tutte le torri sporgenti dalle mura. Si soppressero le merlature
e le caditoie. Era invece importante fasciare con ringrossi e scarpate
il piede delle mura, come allargare i fossi difensivi. La Rocca di Castel
della Pieve invece non fu sostanzialmente modificata dal momento che la
città veniva inserita all'interno della centralizzazione dello
Stato della Chiesa che andava stabilendo rapporti sempre più stretti
con il nuovo Granducato di Toscana.
Il primo Governatore nominato da Clemente VII nel 1529 fu il Cardinale
Giandomenico de Cupis il cui stemma si trova nella Torre Maestra. Nel
1546 Paolo III Franese nomina il Cardinale Tiberio Crispo e nel 1548 il
Cardinale Giulio Feltre della Rovere, nipote di Giulio II. Tranne la parentesi
degli anni 1557 e 1558 in cui troviamo come Governatore Matteo Stendardi
nipote di Paolo IV, la Rocca dal 1550, anno della nomina di Ascanio della
Corgna, fino al 1565 non fu più sede dei nuovi Magistrati. Con
Ascanio della Corgna la nuova Magistratura prese posto nel rinascimentale
Palazzo della Corgna, che conferma le ambiguità, tra il pubblico
e il privato, della donchisciottesca personalità di Ascanio.
Nel 1566 succede nel governo della città il Cardinale Antonio Serbelloni,
Diomede della Corgna, poi il Cardinale Ferdinando de' Medici dal 1571
al 1588, e per ultimo il Cardinale Alessandro Peretti, nipote di Sisto
V. Dal 1590 al 1600 si sostituirono ai Governatori Perpetui, i Governatori
di Patente e di Breve della Sacra Consulta. Si devono probabilmente agli
anni che vanno dal 1530 al 1550 gli interventi di trasformazione in residenza
della Rocca che fu ampliata all'interno del cortile, nella parte centrale,
con l'aggiunta di alcuni corpi di fabbrica e di una loggia aperta, elemento
questo che si trova anche all'esterno a lato della Torre del castellano.
Ci furono comunque interventi anche intorno agli anni 1570, sicuramente
nella sala grande del primo piano, dove sulla parete di fondo si legge
nel camino in pietra serena il nome di Ferdinando de' Medici.
Fu proprio Ferdinando, futuro Granduca di Toscana, nel quadro dei rapporti
di buon vicinato tra lo Stato della Chiesa e il Granducato, a promuovere
l'elevazione di Castel della Pieve a Città come al rango di Diocesi,
compiuta nell'anno 1600 dal senese - e non fa meraviglia - Clemente VIII
Aldobrandini. Dall'anno 1600 la Rocca è adibita a carcere e ad
abitazione della guardie e dei soldati.
Nel 1643 la fortificazione è protagonista di uno degli ultimi fatti
drammatici della storia militare della città: l'assalto delle truppe
toscane impegnate nella guerra contro Urbano VIII per il possesso del
Ducato di castro, la cosiddetta "Guerra Barberina". Il Principe
Mathias con ottomila soldati dell'esercito granducale aggrediva la Città:
innumerevoli i saccheggi e le devastazioni. Probabilmente in quest'occasione
o in quella del 1527 la Rocca perde la Torre del Soccorso e gran parte
del coronamento difensivo, nella fattispecie le caditoie, merli, parapetti
della parte esterna. Rimangono frammenti sulla facciata verso la Torre
del castellano come sulla Torre del Prato e sulla facciata rivolta verso
il Borgo Dentro: l'immagine attuale della Rocca.
Ma l'amicizia tra i due Stati continua anche in relazione ai comuni interessi
per la bonifica della Valdichiana. Proprio a Città della Pieve
avveniva il Concordato Idraulico nel 1780 tra il Papa Pio VI e il Granduca
Pietro Leopoldo di Toscana per il definitivo prosciugamento della valle.
La città diventava il centro operativo dello Stato della Chiesa
sulla Chiana Romana, con l'insediamento della Prefettura delle Acque.
Il fabbricato addossato alla facciata della Rocca che verrà abbattuto,
come diremo, nel 1919, veniva probabilmente costruito in questo momento,
primo tra i numerosissimi interventi che su succederanno nella città
fino alla metà del secolo XIX e che coronarono, con il nuovo tratto
della strada Cassia-Orvietana da Chiusi ad Orvieto inaugurato nel 1835,
il termine dei lavori di bonifica.
L'Ingegnere Pontificio Domenico Mondragoni sarà il protagonista
della ripavimentazione delle strade interne della città, dei rifacimenti
delle porte di Santa Maria e di Sant'Agostino. Nel 1832 il Mondragoni
interveniva anche nella Rocca, adibita, tra le altre funzioni, a Residenza
Governativa: sono documentati lavori nella Cancelleria, nella Cappella
delle Carceri, nelle Stanze del Governatore e nella Sala delle Udienze.
Nel 1854 e nel 1855 ulteriori ristrutturazioni ad opera del geometra Bolletti
si segnalano in particolare nell'appartamento del Governatore e nella
Cancelleria. La fortificazione e la residenza cinquecentesca prendono
il nome di "fabbricato vecchio".
Da una pianta redatta nel 1851 dall'Ingegnere Pontificio Paolo Liverani
si apprende che al pianterreno della Rocca, proprio nel nuovo fabbricato,
si trovano gli alloggiamenti per la Guardia Nazionale e la Posta. Al primo
piano è collocata la Sala delle Udienze e alo stesso livello si
trovano le celle carcerarie situate nelle torri. Dai disegni del Liverani
compare che la parte sul retro è adibita ad orto. Si considera
quindi per rocca solamente la parte costruita intorno al cortile. Questa
concezione influenzerà anche gli storici dell'architettura del
nostro secolo come Ugo Tarchi che, nel suo studio sui monumenti medievali
dell'Umbria e della Sabina, considera il solo spazio delimitato dalle
quattro torri, alterando così la lettura dell'origine del monumento.
Nel nostro secolo, la Rocca si avvia a mantenere solamente le funzioni
di carcere a seguito di nuove ristrutturazioni che ci evidenziano, come
per i secoli precedenti, le animate vicende politiche e sociali della
città.
L'edificio diventa un punto privilegiato di interventi a partire dal 1914.
In quell'anno sale a capo dell'Amministrazione Comunale il Partito Socialista
con Sindaco Arduino Fora, uno dei più importanti protagonisti e
fondatori delle Leghe contadine del Pievese e dell'Orvietano futuro Deputato
al Parlamento. La nuova Amministrazione conta 16 consiglieri su 20: solo
4 appartengono al Partito "dell'ordine". Si devono subito affrontare
i gravi problemi della disoccupazione provocati dalla guerra con l'improvviso
rimpatrio di numerosi lavoratori, in gran parte operai terrazieri, provenienti
per lo più dalla Francia. Come è noto, ancora nel 1914 l'Italia
è alleata della Germania e dell'Austria, già entrambe in
guerra contro Francia e Gran Bretagna. Grave è anche la condizione
della classe bracciantile la quale chiedeva che venisse elevata a due
lire la paga giornaliera e non venisse elevato il prezzo del grano: si
susseguono numerosi scioperi. La Sottoprefettura di Orvieto, nel cui Circondario
si trova Città della Pieve, e la Prefettura di Perugia sospettano
che l'Amministrazione socialista fomenti la rivolta.
Di fronte a questa grave situazione si decide di dare lavoro ai disoccupati,
affrontando un ampio programma di interventi: ripavimentazione delle strade,
fognature, costruzione dell'acquedotto comunale, interventi sul patrimonio.
Tra i primi lavori, si delibera di abbattere, nel 1914, la parte del fabbricato
del vecchio Ospedale soprastante al Porta San Francesco e quindi la porta
stessa: non solo perché ritenuta opera di poco pregio, ma più
esplicitamente per dare lavoro ai disoccupati, con il fine anche di rendere
più comoda l'entrata della città. Nel 1919, a guerra terminata,
bisogna dare lavoro agli operai militari che rimpatriano: continuano così
gli interventi già intrapresi prima della guerra.
Nel 1920 è intanto riconfermata per la seconda volta l'Amministrazione
socialista. E' significativo notare come la prima seduta del Consiglio
Comunale dati al 7 novembre, giorno di ricorrenza della Rivoluzione Bolscevica,
a riconfermare i radicali propositi di cambiamento che animavano le masse
socialiste. E' curioso notare come in delibera, accanto all'intestazione
"In nome di Vittorio Emanuele III, Re d'Italia per grazia di Dio
e volontà della nazione" si citi che la seduta avviene mentre
al balcone del Comune sventola la bandiera rossa. Si inviano inoltre saluti
alla Repubblica dei Soviet e si esprime la riprovazione per le prime vittime
dello squadrismo fascista. Il Sindaco Arduino Fora fa presente che i tempi
peggiori sono passati, alludendo alla guerra e alla disoccupazione, non
prevedendo che il peggio sarebbe presto arrivato.
Nel 1919 si era già deciso di smantellare tutto il corpo addossato
alla Rocca, ritenuto opera "per lo più settecentesca"
e di "nessun prestigio artistico" come affermava il Regio Ispettore
Onorario della Soprintendenza Andrea Cecchetti. Vengono presi accordi
con la Soprintendenza e con il Ministro della Pubblica Istruzione per
iniziare i lavori di restauro. Corrado Ricci, Direttore Generale delle
Antichità e Belle Arti afferma significativamente che "occorre
isolarla semplicemente dalle catapecchie addossatevi e risanare le piaghe
fatte nei muri (…) è necessario invece evitare qualsiasi idea
di ripristino e rinnovamento con merlature ed altro, che darebbero al
Castello una apparenza equivoca di oleografia o di scenario". Andrea
Cecchetti e Corrado Ricci quindi erano in linea con la visione idealistico-crociana
dell'arte, allora dominante, per la quale il Medioevo rivestiva maggiore
importanza rispetto ad altri periodi storici e il singolo monumento doveva
evidenziarsi dall'insieme urbanistico. Solo i manufatti emergenti erano
degni di essere chiamati opere d'arte. Gli interventi di demolizione e
di consolidamento, a cura del Comune, tengono conto delle indicazioni
di Corrado Ricci, del Soprintendente ai Monumenti dell'Umbria Pietro Guidi
e dell'Ispettore Mario Salmi.
I lavori, il cui costo complessivo è di L.30.000 saranno finanziati
per circa un terzo ed a stralci dal Ministero della Pubblica Istruzione
negli anni tra il 1922 e il 1927. Si segnalano interventi alla Torre del
Soccorso, alla Torre Maestra e alla Torre del Prato, sotto la direzione
del geometra comunale Giovanni Orlandi. A seguito di gravi problemi finanziari
dell'Amministrazione Comunale i lavori procedevano a rilento: ne approfittano
gli organi di stampa. In un articolo de "Il Messaggero" del
20 Giugno 1924 dal titolo "Per la bella Rocca trecentesca della Pieve"
si afferma che si lasciano cadere i muri perimetrali, le torri, le mura
stesse della città e che si temono nuove costruzioni addossate
ala Rocca. Si invoca il sollecito intervento del nuovo Direttore Generale
delle Antichità e Belle Arti Colasanti e del Conte Gnoli, Ispettore
ai Monumenti, per impedire "qualunque possibile sfascio, o meglio,
profanazione".
Nel 1923 si progettava un serbatoio per il nuovo acquedotto comunale all'interno
della Rocca, ma non verrà realizzato. In quell'anno si costruiva
anche una fontana, che è quella che ancora oggi si vede sulla facciata
della Rocca. L'Ispettore Andrea Cecchetti invia al Soprintendente una
cartolina postale fatta in qualità di fotografo, indicando la collocazione
della fontana. Il documento che presenta la stessa veduta della fotografia
Alinari, data quest'ultima. I fotografi fiorentini dovevano essere venuti
a Città della Pieve in relazione al IV Centenario della morte di
Perugino, per riprendere gli affreschi del grande concittadino e quindi
avevano colto l'occasione per fotografare, tra le altre vedute della città,
anche la Rocca.
Nel 1932 l'Amministrazione Comunale aveva progettato un serbatoio nella
Torre del castellano 8allora adibita a Carcere femminile) ma anche questo
non fu realizzato. Il "conservone dell'acqua" troverà
poi collocazione nel 1936 nella ex Chiesa di Sant'Anna degli Scolopi che
fino allora era stata adibita a rimessa delle automobili. In questo anno
viene apposta anche la lapide in memoria dei Caduti per la Patria sulla
Torre del Prato. Monsignor Fiorenzo Canuti, succeduto ad Andrea Cecchetti
nelle funzioni di Regio Ispettore Onorario della Soprintendenza, esprime
un parere dubbioso al Soprintendente, il quale, non ravvisando alcun problema
di natura estetica, concede di buon grado il nullaosta. La Casa Mandamentale
cominciava somunque ben presto a soffrire per nuovi problemi statici del
monumento, tanto che era diventata quasi inagibile.
Nel 1982 l'Amministrazione Comunale, in collaborazione con il Ministero
di Grazia e Giustizia e con la Soprintendenza ai B.A.A.A.S. dell'Umbria,
decideva infine di intervenire con un progetto di restauro redatto dallo
Studio R.P.A. di Perugia per un importo di L.1.200.000.000, finanziato
con mutuo della Cassa Depositi e Prestiti a totale carico dello Stato
in base alla Legge 30 marzo 1981, n.119.
I parametri murari presentavano vistose lesioni e sbiciolamenti. Le eleganti
strutture realizzate nel sec. XVI per trasformare l'edificio da strumento
di difesa in residenza erano gravemente compromesse da problemi statici.
Erano inoltre state deturpate con chiusure di archi e di finestre, insieme
all'aggiunta di corpi estranei. Vengono tolte tutte le superfetazioni,
stamponate tutte le logge. Si procede quindi al consolidamento delle murature
e delle torri, alla pavimentazione in laterizio del cortile, dove viene
riscoperta la cisterna del 1326. La residenza rinascimentale viene intonacata
e dipinta, per differenziarla dalla struttura militare medievale: qui
è collocata la Casa Mandamentale, non utilizzando più gli
angusti spazi delle torri. Sul lato verso il Borgo Dentro, nella torre
mozzata, viene infine aperto un accesso pubblico al giardino situato verso
la Torre del Soccorso, perché, parafrasando Italo Calvino, un "castello
di terrore" possa come per incanto diventare un "castello di
delizie"… e la torre senza nome si chiamerà Torre dei
Maitani.
Al momento di andare in stampa, sono emersi nuovi elementi per quanto
riguarda la progettazione della Rocca nel 1326. Da un riscontro bibliografico
è emerso un vecchio scritto di Adamo Rossi ("Lorenzo e Ambrogio
Maitani al servizio del Comune di Perugia", in "Giornale di
Erudizione Artistica", II, 1873, pp.57-72) che conferma l'ipotesi,
già espressa precedentemente, di una ideazione maitanesca della
fortificazione. Ho ritenuto opportuno di non modificare quanto scritto,
ma di aggiungere a parte le nuove precisazioni.
Adamo Rossi riporta in ordine cronologico alcuni documenti riguardanti
i fratelli Lorenzo e Ambrogio Maitani per lavori commissionati dal Comune
di Perugia. Figurano interventi dei due architetti senesi negli acquedotti
della città nel 1317 e tra il 1319 e il 1321. Ambrogio Maitani,
in particolare, viene impegnato in opere di fortificazione tra il 1320
ed il 1326: citiamo, tra le altre, una fortificazione contro Assisi, lungo
le Chiane (la Zeppa di Valiano), il Castello di Monte Santa Maria. In
qualità di "soprastante" alle opere pubbliche del Comune
di Perugia, Ambrogio affronta nel 1326 il consolidamento e la riparazione
del torrione al lato destro di Porta Sant'Angelo (U. Nicolini, "Le
Mura Medioevali di Perugia", in "Atti del VI Convegno di Studi
Umbri", Gubbio 26-30 maggio 1968, parte seconda, pp.729-730).
Nel 1325 Lorenzo Maitani anche lui "soprastante" di tutte le
opere del Comune di Perugia, è incaricato di visionare le rocche
ed i centri fortificati del contado di pertinenza del Rione di Porta Santa
Susanna e di Porta Sant'Angelo, vale a dire la zona del Trasimeno e di
Città della Pieve. Si specifica la necessità di restaurare
la Rocca e le mura di Castiglione del Lago.
Il notaio Senso Sensi che accompagna l'architetto dovrà fornire
una relazione circostanziata al Comune di Perugia in base a quello che
sembrerà opportuno segnalare a Lorenzo Maitani. L'anno successivo,
il 28 ottobre, Ambrogio Maitani, viene pagato per la sua permanenza di
18 giorni a Castel della Pieve con un cavallo, per la progettazione della
Rocca. Si trattava probabilmente di una supervisione del luogo per procedere
ad un progetto definitivo, quello che compare nel bando del 18 dicembre
dello stesso anno e che puntualmente Adamo Rossi trascrive.
E' probabile che Lorenzo, generale supervisore delle fortificazioni come
compare nel documento del 1325, abbia affidato al fratello la progettazione
della Rocca, magari dietro il suo diretto controllo: e la pianta, quasi
un portale del Duomo di Orvieto messo in piano, ce lo fa supporre. Si
realizzava così una perfetta concezione manageriale tra i due fratelli:
Lorenzo si sarà riservata una più continuata presenza nel
cantiere orvietano, lasciando ad Ambrogio la "piazza" di Perugia.
Si può supporre che Lorenzo presentasse spiccate doti di ideatore
e di organizzatore di cantieri e che Ambrogio comparisse come esecutore:
si dovrà quindi assegnare la Rocca di Città della Pieve
a Lorenzo e ad Ambrogio Maitani.
Adamo Rossi riporta anche altri due documenti sui lavori alla Rocca avvenuti
nel 1377 e nel 1490. Nel primo si viene a conoscenza di alcuni lavori
a tutti i solai delle torri ed a tutte le scale. Viene risistemato il
ponte levatoio situato nella Torre del Frontone come anche la cisterna.
La Torre del Prato viene alzata di 25 piedi. Nel secondo, il Maestro Fino
d'Ugolino da Perugia, abbassa la Torre del Prato e restaura i muri perimetrali,
potenziando la difesa.
|
|
|